«Quanta sporcizia c’è nella Chiesa! Quanta superbia, quanta autosufficienza!»

«Quanta sporcizia c’è nella Chiesa!». Aveva detto proprio così l’allora cardinal Joseph Ratzinger durante la Via Crucis al Colosseo del 2005, le cui meditazioni erano state affidate proprio a lui che di lì a poco sarebbe diventato Papa. Giovanni Paolo II seguiva dalla sua cappella, aggrappato al Crocifisso, in uno degli ultimi giorni della sua vita terrena. L’espressione fu letta quasi esclusivamente in riferimento alla questione dei preti pedofili. Ma il cardinal Ratzinger aveva aggiunto due altre esclamazioni: «Quanta superbia, quanta autosufficienza!». Ovvio, quella sporcizia non era solo… sessuale, come con troppa sicumera ci si affrettava a chiosare. Nel giorno in cui assumeva la guida della Chiesa come vescovo di Roma, Benedetto XVI aveva poi chiesto di pregare per lui «perché io non fugga davanti ai lupi». Altra espressione velocemente attribuita ad un contesto extra ecclesiam: è vero, i lupi che vogliono sbranare le pecore del gregge che sta nel recinto di Pietro abbondano sempre, ed il pastore deve vegliare mantenendo salda la sua posizione; purtroppo, però,  i lupi sono mischiati alle pecore, travestiti da pecore talvolta e vivono magari ai piani alti del recinto stesso. Non v’è nulla di nuovo e che Gesù non abbia già detto: grano e zizzania crescono insieme anche nel campo della Chiesa che non è geograficamente e storicamente diverso dal campo del mondo, ed è difficile togliere l’una senza rischiare di sradicare anche l’altro. Basterebbe rileggere qualche bella pagina di sant’Agostino per avere conferma di questa “confusione”(permixtio) del bene e del male che accompagna la Chiesa nel suo cammino terreno.

Eppure gli episodi di intrighi, fughe di notizie, complotti e carrierismi vari che nelle ultime settimane sono usciti dal Vaticano per finire sulle pagine dei giornali o in qualche rotocalco televisivo, destano giustamente scandalo nei fedeli, che sono disposti a comprendere che la Chiesa sia fatta di uomini fallibili, ma che non accettano che i criteri del mondo guidino la gestione della Chiesa ai massimi livelli. Una barzelletta che arriva dal Vaticano dice che a Roma c’è il “deposito della fede” (depositum fidei) perché tutti quelli che ci vanno ne lasciano lì un po’… Sarà pure così, ma la cosa non riguarda soltanto Roma o il Vaticano. C’è una “mentalità aziendale” che si è insinuata nella Chiesa e c’è un difetto di comunicazione che ogni tanto emerge con chiarezza come la punta di un iceberg. Due problemi, cui s’aggiunge una probabile crisi della fede.

Le mie parole non hanno alcuna pretesa di giudizio nelle specifiche vicende di questi giorni. Vorrei solo destare qualche domanda. Innanzitutto su questa Chiesa-struttura umana che mostra qualche falla di troppo. Stamattina sul Corriere della Sera mi ha molto colpito leggere l’articolo di Vittorio Messori, il quale annotava come, a fronte di una diminuzione di “personale ecclesiastico” (leggi: diminuzione del clero) ci sia nella Chiesa un vertiginoso aumento della macchina burocratica (leggi: clero spostato al centro ad infoltire uffici e a redigere documenti). È più che un’impressione, questa, purtroppo! La Chiesa, mentre sperimenta la distanza dalla gente ed è costretta a chiudere le parrocchie – cioè proprio quella “chiesa che sta vicino alle case” dove vivono gli uomini e le donne del nostro tempo – si lancia in riorganizzazioni burocratiche e territoriali dal respiro corto e dall’esito incerto. Il risultato è che il fossato aumenta, la distanza si acuisce, e non basta qualche sorriso di circostanza a renderlo meno drammatico. La proposta di Messori – egli la fa per la macchina burocratica e amministrativa del Vaticano, ma vale per ogni macchina periferica comunque centralizzata – è volutamente provocatoria: riduciamo al minimo l’istituzionale nella Chiesa. Cioè – e questo lo dico io – : torniamo a gestire la vigna, indossando la tuta di lavoro, stando a contatto con le piante ed i tralci. Se ogni prete avesse una parrocchia, piccola magari, invece (o insieme, se è particolarmente bravo)  che un ufficio con tre cellulari e mille scartoffie, non sarebbe meglio? Non torneremmo tutti a stare vicino alla gente, a portare il messaggio del Vangelo guardando i volti? La critica vale anche per una teologia che forse si è troppo arroccata in analisi specialistiche che rischiano di passare sopra la testa dei teologi stessi… Anche la teologia è divenuta distante dall’uomo, si è ridotta a liturgismi, biblicismi, pastoralismi, dogmatismi, moralismi. Una somma di “ismi”, di specializzazioni elitarie che non raggiungono più il cuore della fede, che pulsa o ha smesso di pulsare, ma è comunque altrove.

C’è poi il difetto di comunicazione. La Chiesa è un mistero incarnato dentro una storia umana, che ha necessariamente una sua struttura. Non è facile comunicare la Chiesa in un mondo in cui le regole della comunicazione massmediale si sono imbarbarite e ridotte ad una logica di svelamento sempre e comunque, di un diritto di cronaca universale. Non è facile, ma è necessario conoscere questo mondo e comunicare con trasparenza quella realtà della Chiesa che può e deve essere comunicata. Senza gli infingimenti e le tecniche subdole che fanno parte di un cattivo uso del mestiere. Ho il sospetto che la Chiesa talvolta è più preoccupata di governare e controllare la comunicazione che di comunicare, è intenta a stabilire che cosa devono o non devono dire i mezzi di comunicazione più che a dare le notizie. Abile a insegnare e a pretendere la trasparenza dagli altri organismi umani, ma poi esperta nell’usare mille filtri che, non di rado, la fanno cadere in tranelli, ingenuità, gaffe, errori di comunicazione veri e propri (e ve ne sono stati più d’uno negli ultimi sette anni, durante il pontificato di Benedetto XVI). Senza contare che qualcuno dentro la Chiesa dimostra di essere capace di usare i media come strumenti per infangare l’avversario, per creare ad arte intrighi o per risolvere i propri problemi di coscienza senza il coraggio di uscire allo scoperto. Perché è chiaro: quei documenti non escono certo da soli dal Vaticano, c’è qualcuno che gestisce la consegna ad arte (un po’ come accade nei Palazzi di giustizia italiani con le intercettazioni secretate).

Insomma, i fatti delle ultime settimane si spiegheranno certo, in parte, con la predisposizione alla dietrologia e al complottismo che caratterizza tanta parte della comunicazione di massa in questo periodo. Ma tale nomea che la Chiesa si è fatta di nascondere sempre qualche segreto avrà pure un terreno su cui è cresciuta! Bisogna riconoscere che il rapporto tra Chiesa e comunicazione è comunque problematico, e forse più del giusto e del dovuto. Non per nulla un adagio che circola nelle “sagrestie” rappresenta così la comunicazione curiale: «sapere tutto, dire poco, comunicare nulla». Come tutti gli slogan può essere ingeneroso, ma contiene indubbiamente una parte di verità.  

La fede non risolve certo tutti questi problemi. Non basta avere fede per essere sempre al di sopra delle trame occulte che talvolta innervano la struttura ecclesiastica. E non basta essere uomini di fede per essere buoni comunicatori. La fede però aiuta ad avere la tenacia di stare «in mezzo ai lupi» con specchiata onestà senza fuggire dalle proprie responsabilità, e dona uno sguardo sulle vicende del mondo, sufficientemente disincantato e capace di convincere la platea anche quando non comunichi ciò che il circo mediatico vorrebbe. La fede ed il contatto con la realtà sono i veri ingredienti di ogni riforma della Chiesa.

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6 thoughts on “«Quanta sporcizia c’è nella Chiesa! Quanta superbia, quanta autosufficienza!»

  1. E’ vero e condivisibile che l’ipocrisia la falsità di certi componenti del clero (…mi risulta quasi impossibile chiamarli “uomini di Chiesa”…) ed i loro comportamenti – a cui troppo spesso si trovano cavillose giustificazioni- gettano discredito sulla secolare istituzione che è la Chiesa, allontanando i fedeli. Certamente, la conoscenza , per quanto parziale e viziata, di quanto alcuni individui riescono a fare malgrado l’abito che indossano ( e a cui loro per primi non portano il dovuto rispetto ) rende molto difficile avvicinarsi alla Messa ed all’Eucarestia con la necessaria serenità.

    • Vero e del tutto condivisibile. Aggiungerei, però, tre considerazioni. La prima: attenti a non battere la propria mano sul petto degli altri, perché si rischia di farlo per colpe che essi non hanno (il “non giudicate!” del Vangelo vale per tutti!). La seconda: attenti a non cucire addosso ad una categoria un abito a motivo del comportamento sbagliato di qualcuno (sarebbe come dire che tutta la magistratura è corrotta, perché un giudice o un avvocato è corrotto, o che non bisogna fidarsi degli insegnanti perché uno zero-virgola di essi è pedofilo!). La terza: la Chiesa non è composta solo di clero, ed io credo che la sporcizia – a cui anche il Papa si riferiva in quella Via Crucis – sia equamente distribuita nella compagine ecclesiale, pur nelle diverse responsabilità di ciascuno. Per cui, io continuerei ad avvicinarmi all’Eucaristia con serenità e a cercare in essa la misericordia per se stessi e non tanto il giudizio sugli altri (compreso chi la presiede). Non pensi del resto che io per primo, se fosse vera la tua conclusione, avrei avuto, dopo vent’anni di sacerdozio e tre comunità parrocchiali nella mia esperienza, ben più di un motivo per non uscire dalla sagrestia a dir Messa? Ma non celebro l’Eucaristia perché in quella chiesa siamo tutti perfetti, ma perché ci mettiamo insieme sulla via per diventarlo, con l’aiuto del Signore!

  2. Infatti…però in questo modo…il marciume regna sovrano, ed il richiamo a guardare in fondo a se stessi prima di giudicare gli altri -sacrosanto!- finisce col lasciare impuniti chi pecca contro la legge o la morale. Ed il bilancio diventa ancora più pesante se i colpevoli sono proprio coloro che si sono ,o forse è meglio dire ” che dovrebbero essere” , votati alla difesa e della diffusione della morale cristiana.

    • La zizzania e il buon grano sono mischiati nel campo della Chiesa – e del mondo – sino alla fine dei tempi, e Gesù invita a non voler strappare con troppa sicurezza la pianta del male per non rischiare di sradicare anche quella del bene. Questo vale per ciascuno di noi, perché il bene ed il male coabitano nel nostro cuore: siamo capaci di bene e di male. Questo non significa che, laddove un male grave venga rilevato, non debba essere estirpato a difesa del tessuto sociale od ecclesiale. Ma lo si faccia sempre con la dovuta carità, anche verso il peccatore. Questo almeno ci insegna il Vangelo. La morale cristiana, purtroppo, oggi non è molto di moda, ed i modi per contravvenirla sono molteplici: basta aprire una pagina di facebook per vederla ridicolizzata in mille modi, magari dagli stessi che si dicono cristiani. Oggi ciascuno ha la sua morale, e qualcuno non ne ha nessuna. E’ un compito difficile, dunque, quello dei pastori delle anime. Certo anch’essi possono essere incoerenti rispetto a quanto insegnano, ma devono continuare ad insegnare… Non credo sia questa la tua intenzione, ma se vuoi vestire i panni della “moralizzatrice” e della “fustigatrice di costumi”, prego, ti lascio il posto volentieri! Grazie di cuore per il tuo contributo prezioso nel commentare il mio blog su un tema così delicato ma così importante.

  3. Grazie a te per aver proposto l’argomento..spinoso !
    Non sono certo io quella che si vuole ergere a “fustigatrice dei costumi” , ma ora che il velo “omertoso” che in passato poteva coprire certi avvenimenti pare essere stato sollevato, spero proprio che chi ne ha l’autorità (fuori e dentro la Chiesa) prenda provvedimenti perché chi ha sbagliato paghi.

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