VENTISEIESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C

La parabola sembra invitare ad una palese lettura della storia secondo la legge del contrappasso, enunciata esplicitamente da Abramo in risposta alla richiesta di misericordia da parte del ricco. Ci sarebbe una linea di demarcazione tra la vita terrena e la vita eterna, oltrepassata la quale, se si sono ricevuti mali si è consolati, se si sono ricevuti beni si è tormentati.
Non è così, anche se la parabola sembra offrire una simile descrizione. Il vero discrimine è dato dallo sguardo, rivelatore di una prospettiva di vita, di una scelta fondamentale che la anima e la indirizza: se lo sguardo è attento solo a se stessi e alle proprie cose, e non si accorge e non si preoccupa dell’altro, tale sguardo chiuderà la vita in una prigione dorata, che ad un certo punto con la morte perderà il suo ricco rivestimento per restare solo una prigione (l’inferno). Siccome siamo creati a immagine di un Dio che è relazione di persone in una circolarità dell’amore, se riduciamo la vita entro una prospettiva fondamentalmente egoistica, perdiamo quell’apertura all’altro che ci costituisce nel profondo.
Per usare il linguaggio del vangelo di domenica scorsa, bastava che il ricco abbassasse lo sguardo per accorgersi del povero Lazzaro e usasse la sua iniqua ricchezza per farselo amico. La via da imboccare non era l’insensibilità, ma la condivisione. E questo vale per ciascun uomo, non necessariamente in forza della fede cristiana, che semmai aggiunge la consapevolezza che nell’uomo e principalmente nel povero è presente Gesù.
Non era ancora battezzato il soldato romano Martino, quando «alla porta di Amiens nel cuore di un inverno che era più rigido del solito s’imbatté in un povero ignudo». Sappiamo quello che fece (il famoso episodio del taglio del mantello), ma il suo biografo Sulpicio Severo ci dice anche perché lo fece: «Poiché questi implorava la compassione dei passanti e tutti, evitando lo sventurato, proseguivano oltre, quell’uomo pieno di Dio comprese che il povero, cui gli altri non accordavano un gesto di misericordia, era a lui riservato». Martino, san Martino, fu salvato dal suo sguardo!
E’ questione di sguardo! Oggi noi, che pensiamo di essere cristiani, ci stiamo abituando a guardare i fatti globali del tempo post moderno: cambiamenti climatici, fenomeni di immigrazione ed emigrazione, guerre, dibattiti astratti sulla misericordia; non usiamo più lo sguardo per vedere il povero del nostro pianerottolo, il malato nella nostra famiglia, l’anziano genitore e nonno, forse proprio la persona a noi riservata. Scrive con profondità don Agostino: “Siccome siamo creati a immagine di un Dio che è relazione di persone in una circolarità dell’amore, se riduciamo la vita entro una prospettiva fondamentalmente egoistica, perdiamo quell’apertura all’altro che ci costituisce nel profondo.” Con lo sguardo attento solo a noi stessi e con la scusa di occuparci di problemi globali (propagandati dai mass media) non ci preoccupiamo più del “prossimo”, che vuol dire “vicino”, tenendo lo sguardo fisso su noi stessi. Non capiamo quindi che “nell’uomo e principalmente nel povero è presente Gesù.”
CHE MERAVIGLIOSA COPERTINA DEL NUOVO LIBRO!