TERZA DOMENICA DI PASQUA – Anno C

Questo Gesù che dirige la pesca dalla riva del mare è veramente maestoso. È il Risorto, e la storia ha come fatto il giro di boa ed è diretta verso il suo compimento. Il racconto – che costituisce l’epilogo del vangelo di Giovanni – è tutto incentrato sulla decisione di questi amici di Gesù di tornare a pescare.
È Pasqua di risurrezione ma il mondo degli uomini non sembra cambiato, l’orologio sembra tornato indietro: «Io vado a pescare» dice Pietro, «veniamo anche noi con te» dicono gli altri. La Chiesa è nuovamente sulla barca, da dodici sono rimasti in sette, «ma quella notte non presero nulla». Era già successo, continua a succedere anche dopo la risurrezione. C’è lo spazio per un comprensibile scoramento: «Come, Gesù? Sei risorto, ma per noi, come vedi, non è cambiato nulla!».
Come somigliamo a quei sette: la nostra Galilea quotidiana, anche dopo duemila anni, continua a fotocopiare la sua fatica e a constatare i suoi fallimenti. E il Risorto sta sempre lì, sulla riva della storia, in una posizione che ci appare defilata, e accende il fuoco dell’Eucaristia e ci chiede di aggiungere il nostro pesce – quello che abbiamo pescato grazie a lui! – al suo pesce, e porta lui il pane e lo condivide. Il Risorto non è un rivoluzionario che rivolta il mondo come un calzino, dall’alto. No, è uno che ha amato sino alla fine, che ha dato tutto e che ora si fa amico e compagno di strada, accettando di condividere ancora la polvere del nostro cammino.
Lo si vede nel dialogo con Simon Pietro che segue la pesca miracolosa. Lascia allibiti la domanda di Gesù: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Come? Sei il Signore della storia, sei l’Amore fatto carne, e hai bisogno dell’amore di Pietro, del nostro povero amore? Proprio così: l’Amore chiede di essere amato ed è disposto ad accogliere anche le risposte evasive di Pietro: «Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Poi, cambia lui il verbo della domanda: «Mi vuoi bene?». Se anche solo mi vuoi bene, «seguimi». Questa è stata la prima parola di Gesù, ma ora, sulla bocca del Risorto, risuona come la parola definitiva della Chiesa.
Finisce il Vangelo di Giovanni, mostrandoci un Gesù vicino. Giovanni riconosce il Signore, è pago di questa consapevolezza: se alziamo lo sguardo ( oh, solo un poco!) è Gesù che troviamo ad aspettarci. Giovanni non si butta in acqua come Pietro, è certo che il Signore è lì, sulla spiaggia, e continua tranquillo ( ma quanto calore in cuore) a governare reti e barca. Per stare vicini a Gesù non sono necessari gesti straordinari, basta essere sicuri della sua presenza e fare – semplicemente – quello che va fatto.
Don Agostino scrive: “Come somigliamo a quei sette: la nostra Galilea quotidiana, anche dopo duemila anni, continua a fotocopiare la sua fatica e a constatare i suoi fallimenti. E il Risorto sta sempre lì, sulla riva della storia…” Dopo duemila anni constatiamo i fallimenti umani: la pandemia, l’invasione, il massacro di tanti innocenti…C’è in noi un notevole scoramento e a volte pensiamo che Gesù è risorto, ma per noi non è cambiato nulla. No! Il Risorto non è un rivoluzionario che pone fine alle sventure umane, ma è l’amico e compagno di strada di chi soffre, di chi si ammala, di chi muore; il Risorto accetta di condividere la polvere insanguinata del nostro cammino. E’ Lui che ci ha amato sino alla fine, ma che ha sempre bisogno del nostro povero amore, stando lì sulla riva della storia umana in una posizione, che in questo difficile tempo, ci appare defilata…