Corriere di Como, 8 giugno 2021

Quello celebrato a Chiavenna domenica pomeriggio – e che tanti hanno potuto seguire grazie alla diretta di Espansione Tv – era un rito tutto particolare, il rito di beatificazione di suor Maria Laura, la religiosa di Chiavenna che venne barbaramente uccisa il 6 giugno 2000 da tre ragazze minorenni che con quel gesto intendevano offrire una vittima a satana.
A dire il vero, dalle indagini di quelle prime settimane dopo l’orribile omicidio risultò che la pista vagamente satanista che guidò le tre minorenni nella loro azione aveva come movente principale la noia unita al desiderio di provare un’ebbrezza nuova. Insomma, un gioco per riempire una serata, un gioco ammantato di satanismo.
A suo modo, quindi, quanto avvenuto in quel vicolo buio di Chiavenna nella tarda serata del giorno sei del mese sei era anch’esso un rito. Dopo ventuno anni, nel campo sportivo di Chiavenna percorso da un forte vento di montagna, quell’assurdo rito della noia è stato spazzato via da un rito di gioia. Beatificare significa proprio questo: rendere felice, pieno di gioia. E vi stupirò forse dicendo che ad essere beatificata non è solo suor Maria Laura, che certo è il soggetto principale di questo rito che ha la pretesa in terra di dichiarare qualcosa che si riferisce al cielo, ma “beatificati” lo sono anche coloro che l’hanno conosciuta, quanti ne proclamano il coraggio eroico seminato e germogliato nella sua vita e si ispirano agli stessi valori.
Ecco, tutti costoro – appartenenti visibilmente o misteriosamente alla Chiesa – domenica pomeriggio sono stati per così dire “beatificati” – resi felici – insieme alla suora di Chiavenna, martire della carità e della fede. Ecco perché l’avvenimento a cui abbiamo partecipato è ben più fecondo di un semplice rito, e non solo perché la gioia ha come cancellato la noia artefice di quell’altro rito assassino, ma perché la luce della nuova Beata già si rifrange in mezzo a noi come un faro che traccia il cammino.
L’esemplarità dei Santi è nascosta nel loro quotidiano e spesso cogliamo improvvisamente presente nel momento di una morte eroica quanto invece si era sviluppato nascostamente nel tempo della vita quotidiana e che solo un’attenta ricerca a posteriori – ecco l’importanza di un processo di canonizzazione – ci fa scoprire. Suor Maria Laura quella notte ha seriamente perdonato chi l’uccideva entro un banale gioco di morte, ma questo era solo l’epilogo di una vita vissuta sulla stessa lunghezza d’onda. La santità si vede magari in un guizzo, ma nasce da una lenta e costante decantazione dentro la fatica e il nascondimento dei giorni.
Non solo. Il perdono che la suora di Chiavenna ha dato alle tre assassine prima di morire sotto i colpi delle loro coltellate è un gesto di grande rilevanza nell’iter stesso della sua beatificazione, ed ha nelle tre ragazze le uniche testimoni. Ebbene, domenica pomeriggio quel perdono aleggiava con potenza nell’aria mentre suor Maria Laura veniva proclamata beata, e ha custodito in questo ventennio proprio le tre che ne hanno efficacemente beneficiato. Dopo un breve periodo di detenzione, infatti, hanno potuto cambiare identità e costruirsi una vita lontano da Chiavenna. Si direbbe che il frutto della santità della loro vittima le ha raggiunte ancor prima della sua beatificazione.
L’esemplarità dei Santi è davvero nascosta nella vita quotidiana…
Sì, è molto significativo che le autrici dell’omicidio siano state le testimoni del perdono donato da suor Maria Laura e, testimoniando, lo abbiano irraggiato su tutti noi. Quelle parole di perdono, quell’ abbandonarsi non passivo alla furia omicida ha veramente forato il buio del male. Il martirio di Suor Laura è stato il “tutto compiuto” di una vita in ogni caso donata, frantumata nei mille rivoli della carità quotidiana, eucaristicamente consumata come un buon pezzo di pane nutriente e saporoso.