Corriere di Como, 1 giugno 2021

C’è chi l’ha chiamata «tragedia» e chi da subito l’ha definita «strage». In effetti quello che è successo sulla funivia del Mottarone domenica 23 maggio con la morte di quattordici persone (ed un solo superstite) è un paradigma dell’incrocio funesto tra l’imponderabile e la responsabilità umana. L’inchiesta ha subito individuato due fatti che sono all’origine dell’incidente.
Il primo fatto è la rottura della fune traente della funivia, che ha praticamente trasformato la fune portante in un binario di discesa a folle velocità verso il basso della cabina con i quindici passeggeri. La rottura della fune traente è considerato un evento rarissimo e quasi impossibile, ma non è del tutto impossibile se viene garantito comunque un sistema di frenaggio di emergenza che tiene ancorata la cabina sulla fune portante e non la fa precipitare. Invece – ed è questo il secondo fatto rilevato dall’inchiesta – il meccanismo di sicurezza era stato manualmente disinserito con un forchettone che tiene forzatamente aperte le ganasce dei freni sulla fune portante.
Insomma, la rottura della fune traente è un evento rarissimo e improbabile, ma domenica 23 maggio a poche decine di metri dalla stazione di arrivo della funivia del Mottarone questo evento si è verificato – e la causa è ancora al vaglio delle perizie degli inquirenti – ma se i freni non fossero stati bloccati dal forchettone e fossero entrati in azione, non saremmo qui a parlare di una tragedia o di una strage ma soltanto di una grande paura e di una delicata operazione di salvataggio dei passeggeri della cabina.
Se il primo fatto può essere ascritto all’imponderabile, il secondo decisivo fatto è da imputare ad una decisione umana, ancora più grave se si considera che essa ha impedito di far entrare in funzione l’unico meccanismo di sicurezza che può proteggere gli utenti della funivia dal verificarsi dell’imponderabile.
Chi ha preso quella decisione? Tre persone erano finite in carcere con l’ipotesi che una di esse – il caposervizio – avesse compiuto l’operazione del forchettone, ma che anche le altre due persone – il gestore e il direttore – avessero avallato la decisione per evitare di chiudere la funivia proprio nel momento della riapertura dopo la lunga emergenza Covid. Insomma, si configurava un ennesimo crudele capitolo del conflitto tante volte evocato negli ultimi mesi tra salute ed economia.
Sabato scorso l’udienza di convalida del fermo ha sconvolto questo teorema: tutti e tre sono stati scarcerati, e uno solo – colui che ha confessato di aver manualmente disabilitato il sistema di frenaggio – si trova ora agli arresti domiciliari, mentre gli altri due sono liberi perché di fatto non è stato dimostrato che fossero a conoscenza di quella decisione e l’avessero approvata. In attesa di ulteriori sviluppi dell’indagine, mi pare di poter dire che la «tragedia» del Mottarone è una parabola eloquente del «dramma» della vita. Ce lo diciamo spesso: la nostra vita è proprio appesa ad un filo. Anzi a due. La fune traente della vita – così importante per muoverla verso una meta – può rompersi, e per essere sostenuta dalla fune portante, la vita ha bisogno di un freno. I forchettoni che lo disinseriscono sono nefasti. Com’è importante che la cabina che ci protegge sia bloccata in equilibrio sul vuoto. In attesa che qualcuno venga a salvarci.
Molto efficace il riferimento teologico alla fune traente della vita “così importante per muoverla verso una meta”. Per essere sostenuta da quella portante, la vita necessita di un freno; non può essere lasciata al libero arbitrio.