Corriere di Como, 23 febbraio 2021
È passato un anno da quel pomeriggio del 23 febbraio 2020. Era domenica ed era carnevale. Io mi trovavo in una parrocchia della città in buona compagnia per una allegra tombolata. Non c’era ancora un allarme specifico, anche se già da qualche ora si parlava di Codogno come di un focolaio di coronavirus. Io stavo con un occhio ai numeri sulla cartella della tombola, mentre sbirciavo Il telefonino da cui arrivavano le prime allarmanti notizie dalla Regione Lombardia.
La parola pandemia era spuntata come dal cilindro di un mago, ma assomigliava ancora ad una di quelle parole che rimangono chiuse nel vocabolario e di cui non si ha la percezione reale. In rete cominciarono a girare voci di una chiusura. E poi venne la conferma: scuole chiuse per una settimana e, già da quella sera, non ci sarebbero state le messe nelle chiese. Onestamente quella sera andai a dormire convinto che Codogno fosse certo più vicino di Wuhan ma ancora sufficientemente lontano da Como.
La minaccia di qualcosa di nefasto si tende istintivamente ad allontanarla con il pensiero. Invece nel giro di pochi giorni tutto divenne drammaticamente vicino. E in un modo indubbiamente reale perché l’ospedale era quello di Como non quello di Codogno. La storia di questi dodici mesi è ancora troppo fresca per essere ricordata. Mi limito a due flash, il primo patriottico, il secondo liberatorio.
Tutti ricordiamo i tricolori esposti sui balconi al canto dell’inno nazionale: c’era voglia di essere uniti e di combattere insieme un nemico comune. Ma quel gesto nascondeva la supposizione o forse solo il desiderio che la battaglia sarebbe stata breve e vincente. Purtroppo le settimane passavano e la scia dei morti s’allungava. Poi è giunta l’estate a portarci la sua illusione. Abbiamo respirato a pieni polmoni e in cuore abbiamo nutrito la speranza che il virus si fosse allontanato da noi. Purtroppo non abbiamo valutato correttamente gli spazi della nostra libertà e implacabile è arrivata la seconda ondata.
Forse l’autunno è stato per tutti noi il periodo peggiore. Le difficoltà economiche si facevano sempre più stringenti per tante categorie. E una eccessiva punta di polemica ha inquinato Il panorama politico rendendo di giorno in giorno sempre più problematica la gestione della pandemia. Dopo Natale si è materializzata la crisi governativa e ora ci siamo affidati all’uomo della provvidenza come altre volte era già accaduto nel nostro Paese. La vera novità è costituita dal vaccino. Ma, oltre alle difficoltà di gestione di un piano di vaccinazione nazionale, si è aggiunto il problema delle varianti del virus.
A distanza di un anno da quando tutto è cominciato il quesito più importante mi sembra riguardare lo stato d’animo della popolazione, che è segnato irrimediabilmente dalla stanchezza. A parte qualche assembramento incivile e colpevole, il vero rischio sta nel fatto che piazze e luoghi di incontro si riempiano ormai semplicemente per una fatica comprensibile a mantenere un distanziamento avvertito come innaturale. Il cuore umano è complesso ma è governato da meccanismi semplici. Per vincere la battaglia cominciata un anno fa è sufficiente dargli il necessario con una giusta ponderazione: ancora un pizzico di pazienza dentro un grande respiro di libertà.
Condivido pienamente che lo stato d’animo della popolazione sia segnato dalla stanchezza e che il cuore umano necessiti di un grande respiro di libertà. Non condivido però che basti ancora un “pizzico” di pazienza. E’ necessaria una pazienza perseverante, paragonabile a quella che vi era in famiglia quand’ero bambino durante la seconda guerra mondiale. Una pazienza biblica…
La pazienza è come il sale. Ne basta un pizzico per dare un grande respiro alla libertà.
Sì, forse ” un pizzico di pazienza” non basta; bisogna che il nostro cuore, le nostre giornate , le nostre stanze abbiano i confini offerti dalla fantasia, dalla libertà interiore, dalla capacità di assumere in sé altre vite ( altre possibilità) attraverso la lettura, il ricordo, l’immaginazione. Non bisogna rassegnarsi, ma accogliere quello che le giornate ci offrono.
Sono contento di aver sollecitato una così bella risposta: “il sale”. Grazie
La pazienza è una grande virtù, racchiude spesso la grandezza di una persona, la ricchezza di una vita anche se è, a prima vista, una virtù puramente passiva. In realtà è nutrita di grandi cose: preghiera, fiducia, speranza. È la nostra capacità di resistere, di adattarsi ( resilienza). Spesso è virtù eroica e silenziosa. Dice che il nostro cuore, le nostre giornate , le nostre stanze hannoi confini offerti dalla fantasia, dalla libertà interiore, dalla capacità di assumere in sé altre vite ( altre possibilità) attraverso la lettura, il ricordo, l’immaginazione. Non bisogna rassegnarsi, ma accogliere quello che le giornate ci offrono.