DICIOTTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A
Quella sera ci furono tre modi di affrontare il problema di come sfamare la folla. Il primo modo è quello dei discepoli, ed è una consolazione sapere che i discepoli di Gesù la pensavano come noi. Perché è così che noi vorremmo risolvere il problema: «Congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Cioè: ciascuno pensi a se stesso, risolva lui come meglio crede il problema per sé e per la propria famiglia. L’espressione è significativa: «comprarsi da mangiare». L’azione è chiusa in se stessa, è nella logica del carrello del supermercato in cui ciascuno mette dentro ciò che vuole e poi va alla cassa e si paga il suo conto.
Gesù non è d’accordo e, con una espressione altrettanto significativa, sembra indicare una vera e propria rivoluzione: «Voi stessi date loro da mangiare». È la via del prendersi carico del bisogno dell’altro, del saper valutare la fame di ciascuno e di offrire una risposta insieme gratuita e ragionevole. Gesù vuole che siano essi a gestire in prima persona la situazione di difficoltà della folla. Ma è ovvio che si tratta di una provocazione. Gesù sa benissimo che i discepoli da soli non possono sfamare tanta gente. Intanto, però, essi cominciano a guardare nel proprio carrello della spesa e a valutarne il contenuto in una prospettiva non individualistica e comodamente egoistica: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Dicono cioè: abbiamo poco e questa folla è immensa, questo poco non può bastare.
Ed ecco allora il terzo modo di affrontare il problema, che poi si dimostra essere quello risolutivo. Gesù prende il nostro poco e vi mette la sua onnipotenza, e poi ci lascia distribuire il tanto che quel poco è diventato, anzi, il troppo, visto che ne avanza addirittura. Mi piace pensare che quello che è avanzato è il segno che la prossima volta che ci sarà bisogno di sfamare tanta gente avremo ancora un poco da mettere davanti al Signore, qualcosa di nostro (che poi è ancora suo!): «dodici ceste piene di pezzi avanzati». Perché Dio ama partire dall’offerta generosa del nostro poco per compiere i suoi grandi miracoli.
Le nostre poche cose offerte, se condivise con il prossimo, si moltiplicano e diventano un dono grande, senza fine. L’amore di Dio apprezza il nostro poco offerto con generosità, non rinchiuso nel “carrello” del consumismo e dell’individualismo, che potrebbe ancor di più chiudersi con il dilagare dell’epidemia…
Ho immaginato spesso questo straordinario picnic (a me piace “entrare” in ciò che leggo): Gesù spezza i 5 pani, i discepoli vanno fra la folla ciascuno con in mano un tozzo di pane: e il pane si moltiplica nel fraterno gesto del porgere e ancora e ancora, tanto che i presenti finiscono con l’aver tra le mani più pane di quanto riescano a consumare; la sovrabbondanza senza misura dell’amore di Dio. E mi piacciono quelle borse (le sporte di persone forse sorprese dalla presenza di Gesù che lo hanno seguito interrompendo altre faccende) piene di pezzi di pane.
Ciascuno di noi è un resto di pane, una briciola – una piccola persona – che il Signore non permette vada sprecata: anche da noi briciole potrà replicarsi un prodigio futuro.