Colpo di testa 161 / Il coraggio senza prudenza è solo un inno alla temerarietà

Corriere di Como, 28 aprile 2020

Prudenza. È una parola che era caduta in disuso, ma che nelle ultime settimane ha avuto una sua riviviscenza nel vocabolario della pandemia. Domenica è stata scritta in rosso anche sulla prima pagina di questo giornale e mai scelta è stata più felice, nelle ore in cui il popolo italiano era in attesa di conoscere le norme contenute nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), che si riferisce alla nuova fase di contenimento del contagio da Covid-19, che inizierà il 4 maggio. Come era prevedibile, qualcuno è rimasto scontento, perché si aspettava una linea di apertura più ampia.

Magari, le cose viste da altre parti dell’Italia appaiono diverse rispetto alla sensazione che se ne ha in Lombardia, e stavolta è sicuramente il Nord ad essere penalizzato rispetto al Sud. Qui da noi il numero dei contagi giornalieri è in diminuzione ma è comunque lontano dallo zero, e i morti sono ancora tanti. Il rischio che si possa verificare una risalita del contagio a causa di una ripresa poco responsabile non è affatto una ipotesi campata per aria. Perciò, a me che vivo a Como suonano stonate le critiche che vengono da Roma o da Palermo secondo le quali ci voleva più coraggio.

E mi dà soprattutto fastidio che si metta il coraggio in contrapposizione alla prudenza. Come se il coraggio sia una virtù civica mentre la prudenza solo un oscuro rivestimento della paura. Niente affatto. Prudenza e coraggio lavorano insieme, in perfetta sinergia, come se fossero un’unica virtù. Chi invoca il coraggio delle scelte, contrapponendolo alla lentezza della prudenza, rischia di fare solo un inno alla temerarietà. Così come è possibile che chi s’appella troppo alla prudenza voglia solo nascondere la sua ignavia.

Il filosofo tedesco Josef Pieper – che scriveva quando in Germania Hitler era al potere – sosteneva che «la prudenza è la forza cauta e decisa che foggia il nostro spirito, e che trasforma la conoscenza della realtà in realizzazione del bene». Questa definizione è molto significativa, se applicata alla nostra situazione di pandemia. Che lo vogliamo o no, il vero padrone della scena mondiale è il virus, è lui la realtà con cui dobbiamo intelligentemente fare i conti; tutte le volte che ce lo dimentichiamo facendo prevalere i nostri bisogni più che legittimi e i nostri desideri, rischiamo di essere imprudenti, perché non partiamo dalla conoscenza per quanto non esaustiva della realtà. Può sembrare, questa, solo una bella teoria filosofica, invece è il buon senso della vita quotidiana.

E il legame a filo stretto della prudenza con il coraggio dove sta? Solo il prudente è giustamente e veramente coraggioso, perché nelle sue decisioni tiene conto della realtà e – come dice sempre il Pieper – «mette in conto, per amore della realizzazione del bene, la possibilità di riportare delle ferite». Del resto, se ci pensiamo bene, il nostro stare reclusi in casa per così tanto tempo è stato e continua ad essere opera più del coraggio che della prudenza.

Quasi dimenticavo di dire la cosa più importante: le decisioni della prudenza non nascono da una certezza teorica (nemmeno la scienza può darla) e non offrono sicurezza all’azione (non sappiamo se andrà tutto bene). Da questo punto di vista, la prudenza è davvero l’essenza della “fase due”. Padronanza dell’inaspettato.

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