Colpo di testa 137 / La cascina esplosa, il tesoro e il cuore

Corriere di Como, 12 novembre 2019

«Che cosa non si fa per i soldi!». Se non vi fossero tre vite stroncate, verrebbe da commentare così l’esito della vicenda dell’esplosione che ha distrutto la cascina di Quargnento in provincia di Alessandria. Ciò che era stato ventilato come una ipotesi, sarebbe ora il contenuto della confessione del proprietario della cascina, Giovanni Vincenti: «Sono stato io, ma volevo solo i soldi, non volevo uccidere nessuno». Il procuratore capo Enrico Cieri conferma: «Avrebbe voluto truffare l’assicurazione, che copriva anche gli atti dolosi altrui». E così il Vincenti avrebbe simulato una effrazione nella sua cascina e avrebbe lui stesso piazzato le sette bombole di gas con il timer. Usiamo il condizionale perché il procedimento è ancora in corso e la morte dei tre vigili del fuoco potrebbe far deflagrare anche l’imputazione e la pena. Anche perché, come ha sottolineato lo stesso procuratore, nella notte della tragedia, dopo il primo scoppio, il proprietario fu avvisato telefonicamente della presenza dei vigili del fuoco e «non disse che all’interno della casa c’erano altre cinque bombole, dalle quali continuava a fuoriuscire gas». Se l’avesse fatto, i tre pompieri non sarebbero morti.

Il caso di Alessandria è un capitolo, purtroppo tragico, di quel vizio che una volta si chiamava «cupidigia» o «avarizia». Sono parole forse uscite di moda, scalzate da un mondo in cui all’individuo è riconosciuta la piena sovranità di se stesso e a cui viene scusato anche qualche “piccolo” sconfinamento nel terreno dell’altrui libertà. Eppure, sono due parole che descrivono, con pennellate che si direbbero definitive, una propensione maldestra del cuore di ogni uomo, quella ad accumulare, a garantirsi una sicurezza in proprio entro un quadro sociale segnato da una diffusa incertezza.

Si dirà che il proprietario della cascina di Alessandria non voleva accumulare soldi, ma essi gli servivano per pagare i debiti. La sua si direbbe una cupidigia non fine a se stessa, ma finalizzata ad altro, per cui sfuggirebbe ad una definizione stretta di avarizia. Eppure, nel gesto di radere al suolo la cascina, c’è la materia essenziale della cupidigia, perché ogni altro bene viene di fatto sacrificato allo scopo di procurarsi il danaro. Innanzi tutto, viene sacrificata l’onestà, perché il risultato è ottenuto mediante una frode. E poi non si ha alcun pudore a distruggere una casa bella e spaziosa in un contesto sociale in cui molti una casa non ce l’hanno. Da ultimo, in una escalation di perversione e imprevedibilità, la decisione di non svelare il piano criminoso ha provocato la morte di tre persone generose e innocenti e ha gettato le loro famiglie nella disperazione più nera.

Uno che di cuori degli uomini se ne intendeva e che li metteva in guardia dalla cupidigia, Gesù, ebbe a dire: «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore». Siamo abituati ad andare dove ci porta il cuore, inteso magari come estensione emotiva del proprio egoismo. Ma il cuore va dove lo porta il tesoro. È il tesoro la calamita del cuore. Non bisogna cambiare il cuore, dunque, ma cambiare il tesoro a cui il cuore s’attacca.

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