DICIOTTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C
La diagnosi fatta dal Qoèlet è perfetta. Sembra uno sguardo obbiettivo sulla nostra umanità, anche se si potrebbe accusarlo di essere un poco pessimista. «Quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi; neppure di notte il suo cuore riposa». Eppure la sua conclusione apre la sua diagnosi sulla prognosi che, a suo tempo, farà Gesù. Dice il Qoèlet: «Anche questo è vanità!». Cioè: anche questo ragionamento apparentemente di buon senso assomiglia ad un soffio di vento che viene e che va. Fermarsi a questa analisi non porta da nessuna parte, fa sprofondare nel fatalismo e nel pessimismo e, soprattutto, fa perdere di vista l’unica dimensione che davvero è nelle nostre umane possibilità, e cioè il presente. Proviamo ad ascoltare la parabola di Gesù. L’uomo ricco avrebbe più di altri la possibilità di godere della sua ricchezza, invece pensa con i tempi del futuro: «Che farò?… Farò…». D’accordo, è un intraprendente, ma con la sua mania del «poi» perde di vista l’«adesso». Rimanda il godimento, convinto di poterlo gestire a suo piacimento secondo i tempi decisi da lui, ma non è così. Avrebbe fatto meglio ad accontentarsi di quanto era riuscito ad ottenere nella sua vita, faticosa certo, ma anche assai fortunata.
Detta così, la parola di Gesù assomiglierebbe molto alla ricetta rinascimentale di Lorenzo de’ Medici, che in uno dei suoi Canti Carnascialeschi diceva quelle parole divenute tanto famose: «Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol essere lieto, sia: di doman non v’è certezza». La filosofia del «cogli l’attimo adesso» non è certo evangelica, ma non lo è nemmeno la prassi contemporanea dell’uomo totalmente attore ed efficace imprenditore della sua vita. Il momento presente è l’unico alla portata della nostra libertà, e va vissuto degnamente, e da esso dipende in parte anche il nostro futuro e, insieme, il presente ed il futuro dei nostri simili e, soprattutto, del nostro prossimo. Quindi, in un certo senso, è vero che deve essere colto l’attimo che passa. La felicità sta nel momento presente, ma solo perché è il luogo dell’incontro con Dio. Il momento presente è l’unica esperienza possibile dell’eternità, perché il presente, abitato da Dio, ci raggiunge carico di eternità. Come si può capire, la filosofia cristiana dell’attimo presente è ben lontana da quella rinascimentale del nobile fiorentino. Del domani non v’è certezza, ma il presente è l’impronta di Dio, quindi paradossalmente non c’è bisogno di affidare una certezza effimera all’intraprendenza sul futuro, basta riporla ogni volta in ciò che il Signore mi fa vivere nel momento presente. Il quotidiano non è mai banale, perché è il modo in cui Dio, dalla sua eternità, decide di incontrarmi. Il momento presente è un’incarnazione continua di Dio. Se penso che domani sarà l’occasione giusta per incontrarlo e aspetto, perdo quella certezza che Egli abita nel mio oggi, nel mio «adesso».
Ecco, allora, la prognosi di Gesù, la sua ricetta espressa come sempre con frasi paradossalmente vere: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede… Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». L’atteggiamento sbagliato consiste nella cupidigia, nell’accumulare per sé, quasi con la pretesa di garantirsi un futuro, di costruirsi una certezza per il «poi»: come è vero che la vita non dipende da ciò che si possiede, che le cose non danno automaticamente la felicità, che anzi spesso ce ne allontanano perché ci fanno diventare insaziabili accaparratori e calcolatori spietati! L’atteggiamento giusto è quello che potremmo chiamare dell’intraprendenza condivisa con Dio. Mentre la cupidigia è un arricchire per sé e per il futuro, questa autentica fiducia nella Provvidenza è la consapevolezza del proprio limite, che sa però riconoscere nel momento presente l’unica vera ricchezza a mia disposizione. Perché: «Il mio lavoro, per umile che sia stato in passato, era valido. Il mio lavoro, per umile che sarà in avvenire potrà forse essere valido, ma è incerto. Il lavoro che ho da fare oggi è eccellente, se mi ci metto, poiché su di esso ho ogni potere» (Louis-Marie Parent).