Corriere di Como, 9 luglio 2019
I numeri dicono che la voglia di muri è aumentata. Quando cadde la Cortina di Ferro, se ne contavano 15, ora in tutto il mondo i muri sono 70 e altri 7 sono in costruzione. Ad averli contati e studiati è Elisabeth Vallet, docente di Geografia all’università canadese del Québec. Il presidente Trump l’ha citata per suffragare la sua decisione di costruire il muro con il Messico, ma sembra essersi dimenticato un particolare di non poco conto della ricerca della studiosa di Montréal, ed è la conclusione che i muri non funzionano, siano essi vere e proprie barriere o confini monitorati da droni, radar e satelliti. Per dirla in breve, i muri aumentano ma nessuno di essi è veramente inespugnabile, perché sono una reazione al fenomeno della globalizzazione che non può essere fermato in alcun modo.
Se il muro di Berlino era il risultato di una guerra ideologica, che voleva assicurare che i «guadagni» del comunismo non fossero sottoposti alla tentazione costituita dai «progressi» del capitalismo, i muri che vengono costruiti negli ultimi anni hanno come ragione principale quella di ostacolare i flussi migratori e costituiscono spesso solo una iniziativa di propaganda dei governi per mostrare che stanno facendo qualcosa per arginare il problema, avvertito in modo particolare dalla popolazione residente.
Eppure, la nozione di confine è indispensabile all’animo umano per garantire gli spazi di un’autentica libertà. Mi viene in mente una famosa similitudine evangelica, quella delle pecore e del recinto: la salvezza del gregge sta in quella provvidenziale barriera, aperta solo da una porta stretta, che permette al pastore di controllare la situazione, contando le pecore in entrata e in uscita, ad una ad una. Una immagine che forse dice poco ad una società non più rurale, ma la cui logica rimane tuttora valida.
I flussi migratori e la globalizzazione non possono essere arrestati, ma debbono essere regolati, e farne una battaglia ideologica, da una parte o dall’altra, significa solo aumentare la tragicità del fenomeno. Per tornare all’immagine evangelica, dove sta la porta stretta che garantisce salvezza e libertà? Paradossalmente non sta nella difesa ad oltranza, ciascuno dei suoi principi, il che trasforma una questione eminentemente umana in una zuffa politica, in cui entrano in gioco anche grossi interessi economici.
I principi irrinunciabili dei governi e quelli delle Organizzazioni non governative (Ong) sono per loro natura contrapposti e, una volta messi in mare, diventano presto canotti sgonfiati che fanno affogare una umanità già fragile per conto suo, quella migrante e quella residente. E lo si è visto nei giorni scorsi nella ineccepibile resistenza legale di un ministro e nella arrogante azione profetica di una capitana.
Non è sui principi altisonanti che deve essere costruita la famosa porta stretta, ma sulla ragionevolezza delle regole, poche ma sicure, scritte e rispettate insieme. Sappiamo che i muri non servono a molto, se non ad alterare la valutazione del pericolo e ad aumentare l’avventatezza di chi fugge. Sappiamo però che la sicurezza dei confini è un fattore di cui è necessario tener conto, altrimenti rimarranno alzati i muri dei cuori, che sono fonte di tensione ancora più duratura. Vedo troppo protagonismo di qua e di là dai muri, di qua e di là dal mare. E invece servirebbero meno eroi e qualche testa pensante in più.