TERZA DOMENICA DI QUARESIMA – Anno C
Oggi, la parola che sta al centro del nostro itinerario è una, ed è una parola che denota un atteggiamento in forte ribasso: «fiducia». I mezzi di comunicazione hanno il compito – prezioso e importante – di informarci, ma accade sempre più spesso che ci deformino, e ci lascino nella condizione di perdere la fiducia in tutto e in tutti. Per cui finiamo, poi, per fidarci solo di noi stessi. Ci affidiamo alle nostre forze, con la scusa che fuori non funziona più nulla, che anche le persone che ci sembravano più affidabili sono, invece, fallibili. Siccome abbiamo smarrito a poco a poco il senso critico, perdiamo con esso anche l’umana capacità di dare fiducia. Ci fidiamo solo del nostro fare e del nostro pensare. Ma – la domanda è d’obbligo – sarà poi ancora “nostro” il pensare, oppure il metro di giudizio lo prendiamo inconsapevolmente dal mondo?
Le parole di Gesù nella pagina evangelica odierna sono un misto di consolazione e di minaccia. L’occasione è data da alcuni fatti di cronaca che avevano suscitato clamore. Una strage di zeloti – erano gli oppositori violenti alla dominazione romana – avvenuta nel tempio in occasioni di riti sacrificali, e una disgrazia in cui, per il crollo di una torre, erano morte diciotto persone innocenti. Due fatti diversi che, nelle nostre discussioni da bar, avrebbero avuto due esiti diametralmente opposti: i primi se l’erano evidentemente cercata, i secondi erano poveretti che si erano trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato; la violenza lecita e brutale del potere da una parte, la casualità cieca del destino dall’altra parte. Gesù avrebbe buttato là il suo giudizio controcorrente: i primi non erano certo più «peccatori» degli altri, e i secondi non erano certo più «colpevoli» degli altri. Le parole di Gesù si spiegano con la credenza abbastanza diffusa che la morte violenta fosse il frutto di un peccato personale. Anche noi, oggi, segretamente, invochiamo la punizione esemplare per coloro che giudichiamo più peccatori e più colpevoli di noi, e che… la fanno sempre franca. Talvolta, addirittura, ci arrabbiamo con Dio, perché colpisce gli innocenti, quelli che non hanno fatto nulla di male per meritarsi quel trattamento, e lascia vivere tranquilli i delinquenti. Non è così, ma continuiamo a pensarlo, e abbiamo bisogno di mettere sempre Dio sul banco degli imputati. O, se non proprio Dio, di identificare qualcuno come colpevole di tutto il male che ci circonda. Ebbene, Gesù si rivolge a ciascuno di noi: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Lo dice a me, lo dice a te, lo dice a noi. E anche questo, pur nel tono un po’ minaccioso, è un messaggio quaresimale. Accompagnato efficacemente dalla parabola che Gesù fa seguire a queste sue parole.
Il fico che non produce frutti fa comunque ombra, dà beneficio alla vigna, ma al padrone interessano i fichi. Come dargli torto? Eppure il vignaiolo riesce a convincerlo a portare pazienza, a dare fiducia a quella pianta e al lavoro serio che il vignaiolo è disposto a fare. Questo ci aiuta a capire che cos’è la fiducia, che deve andare oltre ciò che si fa. Ne parliamo oggi, in questa terza domenica di Quaresima, come di un fondamentale atteggiamento educativo. Capita sempre più spesso di ascoltare la lamentela degli educatori, tentati di lasciar perdere, di abbandonare il campo perché delusi. La vera risposta è la fiducia, che deve andare al di là di ciò che si fa, non nel senso che bisogna rinunciare ad agire, ma nel senso che comunque la fiducia non può sostituire la propria azione ma la deve rafforzare e purificare. Fidarsi significa, per un cristiano, mettere Dio al centro delle proprie relazioni, confidare nella sua Provvidenza, che misteriosamente supporta la propria azione. Il vignaiolo della parabola non convince il padrone a concedere un altro anno al fico sterile con una fiducia immotivata e fatalistica: «Aspettiamo, forse l’anno prossimo andrà meglio…». No, propone la sua azione, la sua fatica, la sua continua dedizione: «Lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime…». Fidarsi è il modo migliore per sintonizzarsi con Dio, che, nella parabola, si nasconde sia nel padrone della vigna sia in quel vignaiolo che, nella ferma volontà di proteggere il fico, assomiglia tanto a Gesù Cristo.