TERZA DOMENICA DI AVVENTO – Anno C
Oggi il Vangelo ci fa conoscere un po’ più da vicino la «voce che grida nel deserto», a partire dalle risposte che Giovanni dà alla gente che è andata da lui al fiume Giordano. Se avete notato, la domanda posta al Battista è sempre la stessa: «Che cosa dobbiamo fare?». Vale la pena riflettere su questa domanda fondamentale. Forse ci aspetteremmo che ad un uomo di Dio si domandi che cosa credere, che cosa pensare. Invece la domanda giusta è proprio questa: «Che cosa dobbiamo fare?». C’è un racconto evangelico – che abbiamo proclamato proprio in settimana – in cui Gesù conferma l’importanza del fare, proprio in riferimento a se stesso e a Giovanni Battista. La gente non è mai contenta ed è abile a incasellare: se mangi troppo sei un goloso, se mangi poco sei anoressico… Di Giovanni si diceva che aveva un demonio, di Gesù che era un mangione e un beone. Mai contenti! E Gesù conclude con un riferimento alla sapienza vera, che – dice – «è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie». Nel Regno di Dio non si giudica affatto su quello che si dice, ma su quello che si fa. Ecco perché è importante sapere che cosa dobbiamo fare! E Giovanni offre la sua risposta, semplice e sufficientemente concreta, a ciascuno: ai soldati chiede di non maltrattare le persone – le razzie nei villaggi erano abbastanza comuni e i soldati erano facili a lasciarsi andare al saccheggio e alle violenze – e di accontentarsi delle proprie paghe; agli esattori delle tasse chiede di essere onesti e giusti e di richiedere solo il dovuto – mentre era comune tra i pubblicani esercitare lo strozzinaggio ai danni della povera gente – ; alle folle Giovanni chiede la condivisione dei beni materiali con chi ne è sprovvisto, evitando l’accumulo del superfluo negli armadi.
Giovanni non ha usato questa espressione, ma è come se l’avesse detto: «Guardatevi attorno!». Cioè: siate attenti a chi vi sta accanto, siate pronti a venire incontro alle necessità di quanti incrociate su quella via che state preparando incontro al Signore che viene. Se dici di attendere Gesù, e poi ti dimentichi di fare qualcosa per il povero e il bisognoso, dici una cosa non vera, perché è dal fare che si misura la tua attesa. Guardarsi attorno – a cominciare da chi sta più vicino e di cui rischiamo di non accorgerci più – è un’azione sommamente utile per riempire di «fare» la nostra attesa del Natale. Non sempre è questione di soldi, tante volte è questione di tempo donato, di affabilità, di gentilezza, di uno sguardo di simpatia al posto di un pensiero sospettoso. Domenica scorsa abbiamo individuato massi sulla strada e abbiamo progettato gallerie per scavalcare le montagne. Giusto. Ma spesso, più che di massi, è questione di polvere, di tanta polvere che, però, pesa come i massi e si deposita ovunque. Soprattutto sugli occhi, che diventano opachi agli altri che vorrebbero vederli limpidi, e, a loro volta, sono incapaci di vedere gli altri, con i loro problemi e le loro domande. «Guardatevi attorno!», allora, è il grido che vale come antidoto all’influenza killer dell’anima, che è l’egoismo, che ci fa chiudere gli occhi sugli altri per aprirli solo su noi stessi.
Oggi c’è un altro personaggio che s’intromette con la sua parola nel dialogo tra la folla e il Battista. La folla domanda: «Che cosa dobbiamo fare?». E un’altra voce, quella di san Paolo, risponde: «Siate sempre lieti nel Signore… La vostra amabilità sia nota a tutti. Non angustiatevi per nulla… E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù». L’esortazione dell’Apostolo non ha bisogno di particolari commenti, talmente essa è limpida e radicale. Solo due cose è bene ricordare. Si può essere sempre nella gioia, così che nulla riesca ad angustiarci, solo nel Signore. Quindi, solo la fede è capace di generare la gioia e la pace. Ecco: anche questa parola tanto usata, deve essere messa accanto a Dio, altrimenti la pace rischia di essere una struttura umana traballante e legata ad equilibri politici. Abbiamo bisogno della «pace di Dio» e della «gioia nel Signore» e non di una generica pace e di una vaga allegria. Questa gioia e questa pace superano ogni intelligenza, perché hanno un fondamento nel cuore e nella carne di Gesù Cristo, Dio fatto uomo.