VENTIQUATTRESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
Abbiamo appena ascoltato il racconto di quella volta in cui Gesù mandò al diavolo Pietro. Sì, proprio così. L’apostolo aveva appena dato la risposta giusta alla domanda su chi è veramente Gesù (e l’aveva data pensando secondo Dio e non secondo gli uomini), ma poi aveva voluto dare qualche consiglio al Cristo circa come doveva comportarsi per raccogliere il successo (e qui si era messo a pensare secondo gli uomini e non secondo Dio). Il cambiamento della logica, del modo di pensare, ha comportato per Pietro un immediato cambiamento di posto, del modo di essere: pensi secondo Dio, sei con Dio; pensi secondo gli uomini, ti allontani da Dio ed entri nell’anticamera di satana! Quanto tempo ci vuole a compiere questo passaggio così decisivo e drammatico? Purtroppo, assai poco. Può essere questione di minuti, di secondi. Non è forse quello che rischia di accadere anche a noi nel breve passaggio che c’è dalla celebrazione della Messa alla vita che scorre fuori dalla porta della chiesa?
«Tu sei il Cristo», rispondiamo prontamente, più o meno convinti di quello che diciamo, più o meno imboccati dalle formule che ci sono proposte comunitariamente nella celebrazione liturgica. Ma, poi, anche a noi, fuori di chiesa, lontani dalla sacralità del rito, capita di prendere Gesù e adattarlo al mondo, renderlo più dolciastro, meno dirompente. E lo sgridiamo anche, perché il cristianesimo «così com’è» è irrimediabilmente perdente se immesso senza alcun correttivo nell’arena del mondo, e noi, invece, vorremmo che Gesù Cristo sia vincente, applaudito, osannato. Quante volte, senza pronunciare esplicitamente queste parole, diciamo a Gesù: «Guarda, lascia fare a me, caro Gesù, ti insegno io come fare il Messia: lasciami lavorare di scalpello e di pialla, che ti elimino io tutti gli spigoli, ti rendo io presentabile, accettabile, un po’ alla moda». Talvolta Gesù nemmeno ci manda al diavolo, come fece quel giorno con Pietro. Ci lascia fare, così che possiamo sperimentare le secche in cui ci areniamo o le paludi in cui ci impantaniamo.
Qual è questa benedetta logica «secondo Dio» a cui dobbiamo ispirare il nostro agire da cristiani? È quanto dice Gesù non solo ai suoi discepoli ma alla folla: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». Rinnegare se stessi è l’esatto contrario del mettere avanti le proprie opinioni e le proprie idee. Naturalmente Gesù non vuole affatto dirci che non valiamo niente e che le nostre idee non sono bene accette. No, solo vuole che le mettiamo in gioco seguendo prima di tutto Lui, stando nella sua Chiesa, da servi inutili e non da orgogliosi pezzi insostituibili di una macchina che, come la facciamo funzionare noi, non la fa funzionare nessuno! Rinnegare se stessi è un toccasana, perché apre la nostra mente, non ci fa annegare in un bicchier d’acqua a motivo della nostra rigidità e della nostra ottusità, ma ci spalanca a scoprire la preziosa risorsa delle persone che ci camminano a fianco.
Prendere la croce ogni giorno è l’esatto contrario del cercare scelte facili e su misura. Ciascuno ha la sua croce. Cambiarla con quella di un altro o con un’altra croce che pensiamo più agevole da portare, è solo un’illusione. Devo credere che la mia croce è il modo personale con cui Dio mi ama e mi offre la possibilità, ogni giorno, di comprendere la logica con cui egli porta avanti la creazione. La croce è il modo per entrare dentro il cuore di Dio, che pulsa secondo un ritmo particolare in cui la salvezza sta nel perdere, la sicurezza sta nel fidarsi, la gioia sta nel condividere, la serenità sta nell’accogliere. Il tutto, confidando più in Lui che in me. Dandoci la croce – e ciascuno di noi ha la sua, per fortuna – Dio ci regala la possibilità di condividere il suo modo di condurre avanti la storia. Starne fuori, credendo addirittura di aiutare Dio a fare meglio il suo lavoro, è semplicemente… diabolico. Pietro – il principe degli apostoli, la roccia su cui è fondata la Chiesa – l’ha provato sulla sua pelle.