Colpo di testa 82 / La magia del ciclismo e i tifosi imbecilli

Corriere di Como, 24 luglio 2018

Dicono potrebbe essere stato un tifoso a caccia di uno scatto. La tracolla della macchina fotografica si sarebbe impigliata nel manubrio della bicicletta facendo rovinare a terra Vincenzo Nibali. Sta di fatto che il campione siciliano nella caduta ha rimediato la frattura di una vertebra che ne ha causato il ritiro dal Tour de France. L’altra ipotesi fatta in precedenza era che fosse stata una moto al seguito a provocare l’incidente. Un brutto episodio che non fa bene allo sport.

La tappa stava raggiungendo il mitico traguardo dell’Alpe d’Huez, che ha sorriso a campioni italiani del calibro di Fausto Coppi, Gianni Bugno e Marco Pantani. Bisogna riconoscere che già nei chilometri precedenti dell’ascesa si erano verificati episodi che avrebbero potuto causare cadute e incidenti, soprattutto nel lungo tratto non transennato della carreggiata. Responsabilità possono essere attribuite a chi deve vigilare sulla corsa: troppo spesso si ha la sensazione che i motociclisti che dovrebbero garantire la regolarità della tappa siano troppo vicini ai corridori.

Ma è fuorviante, comunque, scaricare tutta la colpa sui controllori, i quali non possono reprimere le intemperanze di un numero sempre più alto di deficienti, che assiepano i bordi delle strade. Gente che corre a fianco dei ciclisti impegnati nello sforzo della salita in equilibrio già instabile, personaggi vestiti in modo strano che si dimenano come invasati al centro della strada, altri che addirittura accendono fumogeni colorati con il rischio di creare barriere di fumo e di costringere i corridori ad inalare sostanze non certo benefiche per i loro polmoni. Ormai siamo abituati a eccessi di tifo, che sfiorano la stupidità.

Non sappiamo quanta reale passione per il ciclismo o per questo e quel campione ci sia in questi gesti sconsiderati. Il dubbio è che a generarli sia solo una sorta di narcisismo, la voglia di vedersi sugli schermi televisivi, di immortalare le proprie bravate. I tornanti dell’Alpe d’Huez (o dello Zoncolan per restare a casa nostra) sono solo il palcoscenico ideale su cui ostentare la propria mania di apparire, che non centra niente con la passione per il ciclismo o il tifo per il campione.

Naturalmente non mancano – anzi, sono la maggioranza – gli appassionati che magari preferiscono seguire la corsa con la diretta televisiva comodamente dalla poltrona di casa o i tifosi che si limitano ad applaudire composti dietro le transenne o a urlare il nome del loro beniamino. Questo è il vero e unico pubblico di cui il ciclismo ha bisogno. Perché è ovvio che questo sport ha assolutamente bisogno della gente, non può essere giocato come una partita di calcio a porte chiuse, perché i suoi spalti naturali sono le strade. La carovana del ciclismo, quindi, deve prendere in considerazione il problema e cercare di risolverlo. Deve trovare il modo di selezionare i tifosi, evitando le intemperanze dei facinorosi. Non è facile, ma è un problema che soprattutto gli organizzatori delle grandi corse a tappe devono affrontare.

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