Buon anno… da figli

MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO

Spero non vi siate dimenticati la poesia di Natale: «Oh se potessi, Gesù Bambino, farti dormire nel mio lettino; da questa grotta portarti via, là nel calduccio di casa mia! Ma nel mio cuore una voce dice che tu domandi una cosa sola: non la mia casa, non il mio letto, ma solo un cuore pieno d’affetto. Se questo chiedi, questo ti dono con la promessa di essere buono». Potremmo iniziare l’anno proprio con questo dono a Gesù Bambino: la promessa di essere buoni. Se «buon anno» vuol dire «prometto di essere buono», allora ha un senso ripetercelo tante volte in questi giorni che inaugurano un nuovo anno civile. È un proposito che cozza contro la constatazione che la malvagità non va mai in vacanza! Vien da pensare: ma che cosa cambia se io prometto di essere buono, quando il mondo continua ad essere cattivo? È la stessa obiezione che sedici secoli fa rivolgevano a sant’Agostino e a cui egli rispondeva così: «Sono tempi cattivi, tempi penosi! Si dice. Ma cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni. I tempi siamo noi; come siamo noi, così sono i tempi…» (Sermoni, 80,8). Cambiare noi stessi è l’unico modo per cambiare la storia. Ed è bello se ciascuno di noi, oggi, può confermare all’altro il suo impegno ad essere buono, come a rassicurare: guarda che, a partire da adesso, il futuro potrà essere migliore, almeno per quanto dipende da me.

«Cerchiamo di vivere meglio…». È solo uno sforzo umano? Sappiamo bene che le nostre promesse naufragano facilmente nel mare delle buone intenzioni. Conviene, allora, ricordare che oggi è… Natale! Sì, la Chiesa non festeggia oggi capodanno – che è una ricorrenza civile – ma l’Ottava di Natale, cioè il prolungarsi della festa per otto giorni, come a dire: guarda che la gioia della nascita di Cristo non va relegata in un giorno solo all’anno, ma continua ad abitare tutti i giorni, soprattutto quelli feriali. Natale rappresenta un cambiamento radicale e duraturo della storia, che non è più uguale a prima. Come ci ricorda san Paolo, la storia ha raggiunto «la pienezza del tempo» ed da quel momento è abitata da Dio. Il «buon anno» che ci scambiamo da cristiani, allora, contiene una forza che viene sì da questa nostra storia, ma da una storia umana modificata per sempre da una presenza divina. A camminare a fianco a noi nel nostro impegno ad essere buoni c’è Dio stesso, che si è fatto nostro compagno di viaggio. Questa è la novità assoluta che ci ripetiamo anche oggi, e che deve sorreggere tutti i giorni del nuovo anno che iniziamo insieme. Aveva, dunque, ragione quel bimbo che mi ha recitato la sua poesia a dire che bisogna subito aggiungere «buon Natale». È indispensabile anche per dirci «buon anno», perché non si dà alcun «buon anno» cristiano che non derivi necessariamente da un «buon Natale»: l’uno augurio segue l’altro, perché senza la notizia del Natale non c’è alcuna autentica speranza che la mia promessa di essere buono vada a buon fine. Solo se Dio è con me, solo se Dio è con noi, i nostri sforzi umani sono credibili, perché Dio, facendosi uomo, ha modificato in un certo senso la nostra natura con la sua grazia. San Paolo ci ripete la stupenda notizia del Natale – «oggi vi è nato un Salvatore» – traducendola nella nuova condizione in cui questo fatto inatteso ci ha posti: «Non sei più schiavo, ma figlio». Siccome ti è nato un Salvatore, e questo Salvatore è sempre al tuo fianco, non puoi continuare a vivere da schiavo, ma sei figlio.

Il «Buon anno» che è generato dal «buon Natale», allora, significa: «prometto di essere buono, perché Dio, che cammina sempre al mio fianco, mi ha reso figlio e non più schiavo». Che differenza c’è tra lo schiavo e il figlio? Facile rispondere: la libertà. Attenti, però, ad intendere bene. Sia lo schiavo che il figlio non sono liberi nel senso che non dipendono da nessuno, ma dipendono entrambi da qualcun altro; solo che lo schiavo ne ha paura perché lo avverte come un padrone, mentre il figlio è fiducioso perché l’altro da cui dipende è suo padre. La grande rivoluzione del cristianesimo consiste proprio in questa consapevolezza. Da figli, dunque, ci promettiamo l’un l’altro «buon anno». Da figli resi liberi dal Figlio di Dio, che cammina con noi.

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