Corriere di Como, 3 ottobre 2017
«Non siamo cattivi. Vogliamo solo votare». Con le lacrime agli occhi, il calciatore del Barça e della nazionale Gerard Piqué è riuscito a condensare in poche parole la meraviglia del mondo intero davanti ad una inutile quanto brutale violenza messa in atto contro cittadini che volevano solo pacificamente votare. Un testacoda della democrazia spagnola, di cui avremmo tutti fatto a meno. Domenica in Catalogna doveva essere solo una giornata di consultazione popolare. Poi Madrid avrebbe potuto considerare le schede scrutinate come carta straccia, senza alcun valore legale, visto che il referendum era stato dichiarato illegittimo. Barcellona, invece, avrebbe potuto misurare l’effettiva entità dei cittadini favorevoli all’indipendenza, posto che il numero dei votanti fosse particolarmente significativo. Invece gli indipendentisti catalani cantano vittoria e i governanti madrileni si leccano le ferite…
La guerra dei nervi tra Spagna e Catalogna va avanti da tempo e avrebbe potuto andare avanti ancora come un litigio tra bambini educati, senza arrivare alle mani. Invece il primo ministro Mariano Rajoy ha mandato la Guardia Civil in Catalogna per impedire che il referendum si svolgesse. Doppio clamoroso errore. Intanto perché mandare la polizia militare in una regione segnata da forti tendenze indipendentiste significa fare loro un grande favore, alimentandole anche in quei soggetti moderati o fedeli all’unità della nazione. Poi perché non ha alcun senso voler impedire con la forza una consultazione popolare dopo averla dichiarata illegittima e quindi aver già affermato che il suo risultato non avrà comunque alcun valore.
Sono rimasto allibito nell’ascoltare domenica sera il capo del Governo spagnolo ripetere che le elezioni catalane erano una farsa. In verità, il mondo intero stava guardando immagini raccapriccianti di violenza su uomini e donne inermi con le mani alzate, con anziani scaraventati via come birilli. Un giovane stava davanti ai poliziotti antisommossa, tenendo alto un cartello con su scritto: «Picchiate me, non mio nonno». Ora – verrebbe da chiedere a Rajoy – perché tanta violenza per impedire una farsa? In un regime democratico bisognerebbe evitare di impedire l’espressione del voto al popolo, che detiene il potere reale e lo esprime proprio attraverso il voto. Certo, altra cosa è capire poi se quel voto è valido, se quanto la maggioranza vuole è realizzabile senza ledere il diritto delle minoranze e senza venir meno agli interessi della nazione e della comunità internazionale. Problema assai delicato, che comunque non si risolve con il manganello! Un conto è cercare di convincere che l’indipendenza della Catalogna non è possibile e forse non è nemmeno conveniente per gli stessi catalani, un conto è usare la violenza per impedire ai catalani di pensarla diversamente. Magari per le regole formali della democrazia – che, lo sappiamo, è fortemente alleata con quel giuridismo perfetto che va sotto il nome di burocrazia – Madrid aveva ragione, ma la violenza insulsa ordinata e perpetrata a Barcellona l’ha fatta passare dalla parte del torto.
Ultima delusione: il silenzio assordante dell’Unione Europea e dei suoi leader. Qui la vergogna intacca il futuro e non solo il presente. Incapace di esprimere una politica estera, Bruxelles si paluda anche quando deve gestire la politica interna. Corse al cadreghino, opportunismi politici ed equilibrismi diplomatici frenano il coraggio della lingua o – nei pochi casi in cui si scioglie – lasciano uscire parole talmente vuote e di circostanza che fanno più male del silenzio. E pensare che qualche anno fa girava la storiella che l’Occidente voleva esportare la democrazia… Quella vista all’azione domenica in Catalogna è meglio mandarla fuori anche dalla casa europea, altro che esportarla!