Corriere di Como, 9 maggio 2017
Oggi si celebra il “Giorno europeo” – o “Festa dell’Europa” che dir si voglia. Se dobbiamo essere onesti questa festa interessa a pochi cittadini tra i già pochi che ne conoscono l’esistenza. Non si sta a casa da scuola e non si ferma il lavoro (come per il 2 giugno, Festa della Repubblica Italiana) e questo è uno svantaggio che diminuisce ulteriormente la popolarità della festa. La Comunità Economica Europea adottò il 9 maggio come “Giorno dell’Europa” nel 1985, in ricordo della proposta fatta da Robert Schuman nel 1950 per la creazione di un primo nucleo economico europeo con la messa in comune delle riserve di carbone e acciaio. Già lo statista francese propugnava che questo fosse solo il primo passo verso una futura Europa federale, che soprattutto in quegli anni postbellici appariva come indispensabile ai fini del mantenimento della pace.
Sono passati quasi settant’anni dalla Dichiarazione Schuman e credo che la Festa dell’Europa sia ancora perlopiù un festival dei desideri… Certo, di istituzioni e carte ve ne sono state tante, ma la mentalità europea stenta a prendere il posto degli interessi nazionali. Del resto le frontiere non si annullano magicamente togliendo le dogane! I sei Paesi firmatari della CEE (Comunità Economica Europea) sono diventati i 28 membri dell’UE (Unione Europea). Dopo i vari trattati d’unione, ecco profilarsi con la Brexit le prime trattative di uscita, quella del Regno Unito.
Forse una causa della crisi sta nel fatto che la fase entusiastica dell’allargamento ha coinciso con un lento e progressivo indebolimento dello spirito originario. Forse il puntare sull’unione monetaria ha acuito gli interessi finanziari, più che radicare una vera cultura europeista. Qualche anno fa’ almeno si litigava sul problema delle radici dell’Europa, ora siamo finiti definitivamente nel fogliame. Mi viene da sorridere che a Strasburgo sui banchi del Parlamento europeo siedano parlamentari che nei loro Paesi lavorano quotidianamente per convincere i cittadini a uscire dall’Unione Europea.
Del resto, la percezione che i cittadini hanno dell’UE varia tra il cappotto e la minigonna. Un cappotto che purtroppo impone norme comunitarie, pareggi di bilancio e sanzioni finanziarie. Una minigonna che per fortuna non intacca la sovranità nazionale, la politica estera e gli eserciti. Siamo agli opposti, eppure queste due visioni dell’abito europeo hanno in comune l’immagine di qualcosa che viene dall’esterno e che si indossa, ma che potrebbe anche finire nell’armadio. L’identità – la sostanza, direbbero i metafisici – sta altrove, e si direbbe al sicuro proprio dall’Europa, vista più o meno come un’intrusa, da accogliere o rifiutare a secondo della convenienza che se ne ha. La questione degli immigrati – con una Europa plurale e sfilacciata, egoista e opportunista – non aiuta certo un cambiamento del giudizio popolare, che, del resto, non è mai benevolo nemmeno nei confronti dello Stato nazionale.
Insomma, a parte le lodevoli eccezioni che sicuramente non mancano, la cosiddetta “educazione civica” resta una materia che non si insegna e non si impara!