Il crocicchio della salvezza

CRISTO RE DELL’UNIVERSO – Anno C

Odle e val di FunesLo spettacolo della croce di Gesù divide profondamente coloro che vi assistono. C’è un cerchio più lontano e anonimo, il popolo, il quale si comporta come da sempre si comporta il popolo, la folla, la gente: «stava a vedere». A vedere una scena di straziante sofferenza, per provare ribrezzo e insieme piacere. C’è da dire che, da quando c’è la televisione e l’occhio delle telecamere spia dappertutto e ama mostrare e soffermarsi morbosamente sulle scene di sofferenza, questa funzione tipicamente popolana dello «stare a vedere» si è notevolmente ampliata. Ma il popolo ama questa posizione, perché toglie ogni responsabilità. «Stiamo a vedere». Lo si dice proprio ad indicare una estraneità interessata. Si ama stare sull’uscio, un po’ guardoni e un po’ menefreghisti. Bisognerebbe aggiungere che, mischiato a quel popolo che «stava a vedere» c’era sicuramente chi pochi giorni prima aveva osannato Gesù al suo ingresso a Gerusalemme, e chi poche ore prima aveva gridato a squarciagola il «crocifiggilo» che aveva convinto Pilato ad emettere la sentenza di morte contro Gesù. Normale. Chi è abituato a «stare a vedere», quando si trova mischiato alla folla, si comporta da conformista perfetto: grida ora l’una, ora l’altra delle frasi che tutti gridano. L’ignoranza, spesso, è il collante del popolo, è ciò che trasforma tanti individui che amano «stare a vedere» in una folla giudicante e urlante. Dovremmo, come cristiani, non appartenere mai a questo popolo, o meglio esservi dentro come coscienza credente e quindi critica, sale che dà sapore, luce che illumina. Una delle più belle definizioni che è stata data della Chiesa è proprio «popolo di Dio», ma attenti a non diventare un popolo di Dio che sta a vedere il mondo con accondiscendenza, senza la volontà di innervarlo, di cambiarlo. Il popolo di Dio non è uno spettatore impaurito sulla scena di questo mondo. Deve trovare il coraggio di parlare. Vi sono cristiani nel mondo che sono isolati e perseguitati proprio perché hanno ancora la forza di parlare. Dobbiamo sostenerli con la nostra voce. Dobbiamo pregare per loro.

C’è poi un cerchio più ristretto, vicino a Gesù in croce. I capi e i soldati, la forza del potere politico e la forza bruta. Il loro atteggiamento è quello della derisione. Il potere non capisce affatto la scelta della debolezza come via di conquista del cuore dell’uomo. Non capisce e deride, perché è abituato a deridere tutto ciò che non capisce. Crede che tutto si possa ottenere in questo mondo solo con la legge del più forte, il tintinnio del denaro, la logica della sopraffazione e dell’apparire, la scalata sociale. Come si fa a pensare di salvare il mondo, finendo i propri giorni anzitempo in croce in mezzo a due malandrini? Se uno non è in grado di salvarsi da solo, come può pretendere di salvare gli altri? Questo ragionamento così stringente è quello che continuano a fare i capi ed i soldati di ogni epoca e in ogni luogo. Rischia di essere il nostro, non appena abbiamo raggiunto un piccolo ruolo da capo o da soldato. Ci sentiamo in diritto di esercitare il nostro piccolo potere, abbandonando la via della debolezza, la logica dell’amore, la forza vera dell’umiltà. Magari in croce ci eravamo finiti, ma preferiamo scendere e stare in quel cerchio ristretto di capi e di soldati che trinciano giudizi di cosiddetto buon senso: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto!».

C’è, infine, in questo spettacolo della croce, la prima fila, costituita dai due malfattori crocifissi con Gesù. Che cosa c’è più della condivisione della stessa pena? Eppure uno solo dei due guarda e capisce. Uno guarda e chiede perdono. L’altro guarda e bestemmia. Sono così vicini a Gesù. Così simili a lui. Eppure uno solo sceglie il paradiso, lo domanda e lo ottiene subito. Non è nostro compito entrare nel cuore del Salvatore e nella sua infinita misericordia. Noi sappiamo che quella prima fila, nello spettacolo della croce, ci spetta di diritto in quanto battezzati. Il nostro re è lì, e noi non possiamo disperderci nella folla che sta a vedere o nei gruppuscoli che stanno a deridere e a giudicare. Dobbiamo scegliere la via dell’amore, anche se sconfitto; la via della verità, anche se calpestata e negata; la via dell’umiltà, anche se perdente. Un altro anno liturgico si chiude. Ma il crocicchio della salvezza passa sempre da qui.

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