SECONDA DOMENICA DI PASQUA – Anno C
Dov’era Tommaso la sera di quel primo giorno dopo il sabato in cui Gesù risorto si rese presente in mezzo ai suoi discepoli? Una domanda a cui avremmo desiderato avere una risposta, ed invece, come al solito, il vangelo tace. Dice semplicemente: «Tommaso non era con loro quando venne Gesù». Potremmo pensare che, siccome gli altri se ne stavano chiusi in casa «per timore dei Giudei», lui, Tommaso, non aveva alcuna paura. Forse non sopportava il clima di depressione che si respirava in casa. Forse stava cercando di metabolizzare a suo modo un dolore grande ed inspiegabile. Forse aveva preso la via verso la sua Emmaus. Del resto, due discepoli proprio in quelle ore si trovarono Gesù come viandante mentre se ne tornavano a casa, delusi e privi di ogni speranza. L’unica cosa certa è che nessuno si aspettava la risurrezione. Quindi Tommaso non mancò nessun appuntamento quella sera, perché l’arrivo di Gesù a porte chiuse fu totalmente inaspettato. Lui non c’era, e a Gesù sarebbe stato possibile raggiungerlo dov’era. Invece, aspettò la domenica successiva. Tommaso rimase una settimana con il cuore in sospeso tra la fiducia e il dubbio. Avrebbe dovuto e potuto fidarsi dei suoi amici che gli dissero: «Abbiamo visto il Signore». Ma dubitava. Voleva anche lui vedere e… toccare. Vide e, senza toccare, credette, con una professione di fede così perfetta e personale, che supera quella degli altri apostoli: «Mio Signore e mio Dio!». È come se Gesù lo abbia voluto lasciare nel dubbio per una lunga settimana, perché su quel terreno si generasse una fede ancora più forte. Egli gestisce così il nostro tempo, in un modo tutto particolare: ci fa attraversare anche il dubbio e lo scoraggiamento, ma non cessa di rendersi presente. Lo fece lungo la via di Emmaus. Lo fece otto giorni dopo, a porte chiuse, quando c’era anche Tommaso. Il Signore si fa vedere e mostra i segni della passione. All’inizio del vangelo di Giovanni, Andrea dice a Simone: «Abbiamo trovato il Messia». Ora i discepoli annunciano: «Abbiamo visto il Signore». E Tommaso è ancora più preciso: «È il mio Signore ed il mio Dio». Gesù non è più soltanto il Messia atteso e trovato, ma è il Signore visto e che porta nel suo vero corpo i segni della crocifissione. Il Messia diventa Signore solo passando attraverso la Croce. Così come la fede diventa piena attraversando la paura e il dubbio. La Croce è al servizio della vita? Il buio e il dolore sono il luogo in cui si manifesta la luce? Sembra di sì. A patto di saper leggere dentro la nostra vita con occhi interiori che sanno andare in profondità e che non restano alla superficie delle cose. La pretesa di Tommaso di toccare è sbagliata. Quella di vedere no. Ma deve essere un vedere che sa intus legere, leggere dentro, e che non resta alla superficie delle cose e delle persone. Ecco, allora, quanto è necessario accogliere il dono dello Spirito Santo. L’abbiamo appena ascoltato nel Vangelo. Gesù venne in mezzo ai suoi discepoli donando lo Spirito Santo: «Pace a voi!… Ricevete lo Spirito Santo». E lo Spirito si manifesta concretamente con sette doni su cui cercheremo di riflettere da oggi a Pentecoste in questo tempo pasquale. Si tratta di una vera e propria dote che permette al cristiano rivestito dell’abito nuovo di vivere da persona che è stata raggiunta dalla presenza del Risorto.
Il dono che aiuta a intus legere, a vedere in profondità, è il dono dell’intelletto. A che cosa lo possiamo paragonare? Ad una lente che fa cogliere i particolari che ad occhio nudo sarebbero invisibili. Ed è grazie a questa «lente» che Tommaso riconobbe Gesù senza doverlo toccare. Pensiamo alla lente del microscopio: ponendo il nostro occhio nell’oculare, noi vediamo l’infinitamente piccolo e non ci sogniamo nemmeno di mettere la nostra mano sul vetrino per toccarlo. Il dono dell’intelletto è importantissimo perché attraverso di esso arriviamo al cuore delle cose e delle persone. Spesso nei nostri rapporti agiamo senza il bene dell’intelletto: ci fermiamo a ciò che appare ad occhio nudo, non facciamo la fatica di leggere in profondità. Succede così che operiamo giudizi errati, assumiamo atteggiamenti affrettati. Anche Dio è oggetto spesso della nostra superficialità: il dono dell’intelletto ci aiuta a vederlo senza toccarlo, e, così, ad amarlo di più.