Il tempo del «cominciamento»…

PRIMA DOMENICA DI AVVENTO – Anno B

(Con il nuovo Anno Liturgico i commenti verranno pubblicati il sabato, per permettere, come qualche lettore ha richiesto, di utilizzare questi testi come meditazione “preventiva” all’ascolto della Parola). 

La chiesetta di Passo Rolle con il Cimon della Pala...

La chiesetta di Passo Rolle con il Cimon della Pala…

La sapiente pedagogia della madre Chiesa contempla tanti inizi. Ogni anno l’Avvento è il tempo del «cominciamento», e Dio solo sa quanto tutti abbiamo bisogno di ricominciare.

Oggi ricominciamo, dunque, ma è bene mettere subito in chiaro che cosa significa questo nuovo inizio. Intanto, è bene ricordare che si ricomincia dentro un viaggio che continua. Le tabulae rasae, i colpi di spugna per intenderci, sono meccanismi disumani, che non funzionano. Ciascuno di noi si porta la propria storia non come uno zaino che si può abbandonare nell’armadio, magari lasciandoci dentro, volutamente o per sbaglio, i segni del cammino, la maglietta sudata, i pezzi di pane avanzato, la cartina dei sentieri, ecc. No, la vita è attaccata alle ossa come la pelle. Il passato genera, prima o poi, le rughe, ma protegge dal caldo e dal freddo come una pelle provvidenziale. Non possiamo liberarcene mai. Quindi, il viaggio è lo stesso, ma il Signore, nella sua bontà infinita, ci concede, anche quest’anno, un nuovo cominciamento.

Talvolta vorremmo fermare la vita in un punto, attorno al quale far girare tutto. Ma non si può. L’unico punto attorno a cui ruota ogni esistenza è quaggiù inafferrabile, sta prima di noi e oltre di noi. Da quel punto veniamo e a quel punto ci dirigiamo, ma il paradiso – chiamiamolo così questo punto di definitiva gravità celeste – non è affare che possa stare sulla nostra agenda, non è un appuntamento programmabile sulla terra. La nostra vita passa, con i suoi entusiasmi e i suoi fallimenti, e se gli uni hanno la forza di donare nuova linfa alla passione, gli altri lasciano segni profondi che non si possono più cancellare e che minano il cammino come un temporale che sembra non finire più. Sì, c’è sempre la possibilità di vedere il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto, ma è consolazione che non soddisfa il cuore, se il cuore ha desideri grandi. Diciamocelo, allora: l’Avvento ogni anno ci è dato per digerire questa sottile delusione che ci prende perché ancora tutto non è compiuto. Tutto, cioè: il desiderio di una vita più autentica in cui le virtù possano esercitarsi in una gara vincente con i vizi, la passione per le persone che amiamo con cui accendere le tante sere segnate magari dalla delusione, la tenerezza che vorremmo avere verso gli amici con cui spegnere l’arsura della solitudine che attanaglia il cuore, la libertà che vorremmo utilizzare con gli altri e che, invece, sembra sbarrata dalle tante convenzioni sciocche che la società impone, il dono di se stessi che vorremmo mai bloccato da calcoli utilitaristici e magari anche ricambiato dalla gratitudine… Tutto questo – lo avvertiamo con evidenza – non è affatto compiuto e, perciò, ci viene regalato un nuovo inizio, affinché il nostro orizzonte possa essere, in un certo modo, ridisegnato.

Attendere è riorganizzare l’orizzonte. Guardare verso quella linea che conosciamo bene e sperare ancora in una luce, in un sorriso, in un abbraccio, in un pensiero buono o in una buona azione. Attendere significa credere nella bellezza, oltre che nel bene e nella verità. Crederci, perché arriva anche quest’anno Natale e ci è stato dato un figlio. Scriveva Madeleine Delbrel: «Noi crediamo che niente di necessario ci manca. Perché, se questo necessario ci mancasse, Dio ce lo avrebbe già dato». E, infatti, ce lo ha già dato. Possiamo ricominciare perché attendiamo Qualcuno che ci è già stato dato, e che orienta la nostra vita, costituisce il nostro orizzonte, entro il quale ciò che noi non abbiamo ancora compiuto, Egli già lo ha compiuto. Questa è speranza vera, perché si fonda sulla certezza, non è affidata al nostro desiderare.

Buon Avvento, allora! A patto di ricordare da subito le parole che ogni anno – sempre le stesse! – ci vengono dette dal Signore Gesù. Parole per ridisegnare l’orizzonte. «Fate attenzione, vegliate… vegliate… vegliate!». Sì, ripetuto tre volte, con la tipica insistenza del padre e della madre a cui i figli rispondono spesso con supponenza alzando le spalle. Stiamo attenti, vegliamo, e anche noi teniamo sulla bocca le parole giuste, le parole di chi ricomincia con un orizzonte abitato. Le abbiamo appena dette nel salmo: «Tu, pastore d’Israele, ascolta… risplendi. Risveglia la tua potenza… Ritorna!».

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