Cristo Re dell’universo. Il re insieme al ladrone…

«Si salvi chi può!». È questo l’urlo lanciato nel momento del pericolo. Ora, chi può salvarsi più di un re, più di un Dio? La scena che l’evangelista Luca ci presenta oggi, a chiusura dell’anno liturgico in cui ci ha accompagnato con le pagine del suo vangelo, è davvero di intensa plasticità. C’è il popolo sullo sfondo, e il popolo sta sempre a vedere. Alcuni forse hanno gridato il crucifige, altri sono semplicemente curiosi. Stanno a vedere, non stanno a guardare. Non c’è intensità alcuna nella direzione dei loro occhi, non c’è sguardo. Tutti gli altri mostrano un maggiore interesse alla vicenda di quel Gesù, che ha dichiarato di essere re e di essere Dio, ma si trova ridotto in una condizione miserevole, degna dell’ultimo schiavo del regno: nudo e crocifisso. I capi del popolo, i soldati e uno dei malfattori appesi alla croce con Gesù sono, nella loro diversa condizione, accomunati da una sfida che trova espressione in una frase lapidaria: «Salva te stesso!». Proprio così: se quel tale crocifisso è davvero Dio, può salvarsi da solo e inscenare una prodigiosa discesa da quello strumento di supplizio e di morte che è la croce. I capi del popolo riconoscono che Gesù è stato in grado di salvare gli altri. Ma a che serve se non è in grado di salvare se stesso? La concezione di re che hanno i capi è legata strettamente all’idea di potenza illimitata. È la nostra concezione di re, inteso come uno che può agire con la suprema libertà e che, soprattutto, può evitare a se stesso umiliazioni e dolori. I soldati, da parte loro, non aggiungono nulla a quel «salva te stesso». Il malfattore, invece, aggiunge – ed è comprensibile – un «e anche noi!». Cioè: hai salvato gli altri, come riconoscono i capi del popolo, e ora, già che ci sei, puoi organizzare una discesa dalla croce collettiva, che avrebbe anche un impatto mediatico più ampio su tutta quella gente che sta a vedere e, forse, si aspetta proprio qualcosa di sensazionale. Uno soltanto non pronuncia quella frase. Non dice: «Se sei davvero re, salva te stesso!». Ma riconosce sino in fondo che Gesù Cristo è re. Non solo. Intuisce che la croce non è il momento in cui questa condizione di re miseramente svanisce. Anzi, la croce è la porta che introduce proprio nel regno di Cristo. Ecco perché il buon ladrone dice: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Il tuo ricordarti di me è la mia salvezza. C’è una pagina molto bella di sant’Agostino in cui egli stabilisce un dialogo con il buon ladrone per sapere come è riuscito a riconoscere la divinità del Messia – a differenza dei dottori della legge – nel momento in cui essa sembrava morire sulla croce. Forse che tra una rapina e l’altra, il nostro ladrone si era dedicato all’approfondimento delle Scritture? «No, – è la risposta che sant’Agostino mette sulle labbra del buon ladrone – io non avevo scrutato le Scritture, non avevo meditato le profezie, ma Gesù mi guardò e nel suo sguardo capii tutto». Ecco, è uno sguardo a salvare il ladrone pentito. Non la discesa dalla croce, ma uno sguardo di amore profondo. La gente che stava a vedere – e non guardava – non vide nulla se non uno spettacolo di morte. Quell’uomo, invece, si sentì guardato e vide la salvezza fatta carne per lui. Lo sguardo di Gesù – quello che aveva guarito il cieco Bartimeo, quello che aveva guarito il pubblicano Zaccheo – ora guarisce il ladrone. Il quale diventa compagno del Regno di Cristo: «In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso». Con me sulla croce, con me in paradiso, gli dice Gesù. Il re insieme al peccatore pentito. Questo è lo spettacolo del regno di Dio. Il messaggio che ci raggiunge in questa solennità di Cristo Re dell’universo è, dunque, un invito a capire lasciandosi guardare dal Cristo crocifisso. In effetti, il crocifisso è il simbolo cristiano per eccellenza. Guardare al Crocifisso ci pone di fronte ad un amore totale apparentemente sconfitto: le braccia sono spalancate e inchiodate. Forse, però, occorre lasciarsi guardare dal Crocifisso, lasciare che i suoi occhi incrocino i nostri, e capire. E la prima cosa che dobbiamo capire è che il Crocifisso non è un pezzo di legno appeso al muro, ma un pezzo della sua carne ancora qui presente in mezzo a noi, soprattutto nella carne di coloro che soffrono e domandano il nostro aiuto.

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