Grazie Aurelio. Grazie Rita. Sedici figli sono il campo del vostro amore per Dio!

A casa Anania-Procopio in quel di Catanzaro sta nascendo la sedicesima figlia: si chiamerà Paola. Prima di lei in quasi vent’anni di matrimonio nell’abitazione di 110 metri quadrati sono arrivati otto femmine e sette maschi. La notizia – data con una finestra in prima pagina dal Corriere della Sera di ieri – suona come una provocazione alla nostra società, in cui il matrimonio – quando si decide di celebrarlo in chiesa o di sancirlo in Comune – è rimandato fino a quando non c’è tutto pronto, la nascita del primo figlio è programmata qualche anno più tardi così si può gustare in pace le gioie di coppia, e quando si decide di dare un fratellino o una sorellina al primogenito si è ormai sull’orlo dei fatidici quarant’anni (e talvolta si rinuncia pure). Il papà della sedicesima nascitura, Aurelio, ha invece 44 anni e la moglie Rita ne ha 42: si sono sposati nel dicembre del 1993 dopo otto anni fidanzamento e si ritroveranno a festeggiare tra qualche mese il ventesimo anniversario di matrimonio con la bellissima cornice di sedici figli.

Posso solo immaginare i commenti colmi di saccente commiserazione da parte di gente che i piedi dice di tenerli per terra e la sua vita se la gode – o almeno crede – entro un quadro più “normale”, o di single impenitente, o di perenne convivente, o di sposato con figlio unico a carico o di felicemente divorziato con realtà plurifamiliare al seguito. Io non voglio aggiungere alcun commento a quanto Aurelio Anania dice al giornalista del quotidiano milanese. Voglio solo chiosare alcune sue battute che mi sembrano ispirate da una autentica felicità (e fatica) di famiglia super-extralarge, una serenità che i suddetti commentatori nemmeno immaginano e perciò faticano a riconoscere.

Prima parola: «Siamo una famiglia straordinariamente normale… Ma il merito non è nostro. Semplicemente perché è un’opera di Dio». Ecco la parola magica che manca in tante famiglie magari cristiane: Dio. Quanti sposi credono ancora che il matrimonio e la famiglia sono «opera di Dio»? E che questa è straordinaria normalità? Certo, verrebbe voglia di correggere Aurelio, il quale non può pretendere di considerare normale la sua famiglia. Credo, però, che egli voglia dire che la logica che li ha guidati – indipendentemente dal numero dei figli che sono arrivati e sono stati accolti – è normale, nel senso che è la norma dello sposarsi di due cristiani.  E i due coniugi di Catanzaro hanno ragione.

Seconda parola: «Non c’è né incoscienza né ignoranza ma il frutto di un cammino di fede… Mia moglie ed io non siamo altro che gli umili amministratori di un disegno divino». Ancora una volta c’è un modo diverso di guardare anche alla paternità e alla maternità responsabili: i coniugi nell’atto di diventare genitori si ritengono «amministratori di un disegno divino» e non programmatori egoisti di una cosa propria. La mentalità individualistica si è talmente insinuata nei ragionamenti di coppia che ha estromesso gradatamente e definitivamente la prospettiva del disegno divino. Io credo che la maggior parte di coloro che hanno letto l’esperienza della famiglia Anania-Procopio abbiamo proprio pensato che questi due ancora giovani genitori siano stati degli incoscienti a mettere al mondo così tanti figli in un contesto di così grave crisi economica e valoriale. Ma chi la pensa così, forse non sa nemmeno che cos’è la coscienza, e l’ha confusa con il proprio “secondo me”.

Terza parola: «L’uomo può anche offendere, se regala qualcosa a qualcuno. Dio non lo fa mai. E non ti costringe nemmeno a chiedere, perché si muove in anticipo sapendo delle tue necessità». Qui Aurelio sta parlando di come riesce a mantenere la sua famiglia con uno stipendio mensile di 2.200 euro, cui si aggiunge la… Provvidenza. Eccola, la Provvidenza: un’altra entità misteriosa che ogni tanto frequenta i nostri discorsi, ma in cui poi non crediamo davvero. Questo Dio che «si muove in anticipo» è un Dio che talvolta diciamo di non sperimentare mai. Anzi a noi pare che Dio sia sempre in ritardo e che qualche volta non arrivi nemmeno. Forse per sperimentare il Dio in anticipo di cui parla papà Aurelio, bisogna… anticipare la propria fede in Lui e non legarla all’esaudimento dei propri desideri (nel senso che “o Dio, se sei provvidente, io poi credo in te!”).

Quarta parola: «Mi basterebbe la certezza che per noi ci fosse la stessa superficie in Paradiso…». Sta parlando della superficie della sua casa, Aurelio, una superficie che sarebbe giudicata piccola per viverci in quattro, e invece lì dentro ci stanno in diciotto. Difficile trovare un metro adatto a misurare la superficie del Paradiso. Forse è l’amore. E l’amore certo non si misura con il numero dei figli. Penso a tante realtà coniugali dove i figli, pur desiderati, non arrivano. Penso alle tante sofferenze provocate talvolta proprio dal ricorso a tecniche fecondative arroganti, invasive e deludenti. L’amore nella casa di 110 metri quadrati di Catanzaro si mischia ogni giorno ad una fatica immane. Ma come non è vero che sedici figli costano sedici volte di più di quanto costa un figlio solo (anzi, magari quell’uno assorbe anche l’eccesso e non ha la possibilità di imparare la legge del sacrificio e la gioia della condivisione), così non è vero che tanti figli costituiscono solo tanti problemi. Il centuplo quaggiù a cui si riferisce Gesù nella sua promessa a chi lo segue non vale solo per i preti e per le suore che di figli non ne hanno neanche uno. Vale anche per chi Gesù lo segue sulla via del matrimonio. E allora i figli sono come talenti donati per amministrare l’amore, per spendere le fatiche e i dolori e per gustare e contemplare le gioie ed i miracoli quotidiani.

Grazie Aurelio. Grazie Rita. Una testimonianza, la vostra, che fa riflettere anche me, prete «senza famiglia».

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