La storia dei due minorenni di Locate Varesino – 17 anni lui, 14 anni lei – scappati di casa è solo una delle fughe d’amore di cui la cronaca ci racconta spesso. Con la macchina, rubata al padre della ragazzina (a cui sembra sia stato sottratto anche un borsello con soldi), si sono diretti lungo la A1 e sono stati fermati dalla Polstrada a Firenze, solo dopo un rocambolesco inseguimento e addirittura con la chiusura dell’autostrada. Sembra che i due fidanzatini abbiamo addirittura forzato un posto di blocco nei pressi di Bologna.
Sono già tornati nelle rispettive case e non so proprio che cosa preveda la giustizia per loro. Immagino che sia poco, molto poco, e, nel perdonismo generalizzato – che è tutt’altra cosa del perdono vero, sia chiaro – mi sa che alla fine sarà poco più che nulla. Non so nemmeno quali provvedimenti prenderanno i rispettivi genitori, e posso solo augurarmi che qualcosa che assomiglia ad un castigo esemplare e oneroso venga deciso tra le mura domestiche. Anche in questo ambito, però, nutro qualche dubbio.
L’errore che non dobbiamo compiere è quello di trasformare questi due “delinquentelli” da strapazzo – che hanno tenuto occupate le Forze dell’Ordine per diverse ore, che hanno fatto spendere soldi inutili alla collettività e che hanno creduto di imitare qualche cattivo esempio della nomenclatura cinematografica – in piccoli eroi dell’amore, in meravigliosi idealisti incompresi da un mondo bigotto che osteggia il nobile sentimento di affetto scoccato in tenera età, in coraggiosi protagonisti sfuggiti alla cortina grigia della quotidianità. No, questo errore non dobbiamo commetterlo.
Anzi, si applichi sino in fondo tutto quanto la giustizia potrà infliggere – anche come risarcimento pecuniario, se è in qualche modo quantificabile, perché toccare sul portafogli è sempre meglio che ciarlare di principi annacquati nel relativismo – e in più si aggiunga quanto richiede la misericordia. Non mi si fraintenda. Intendo riferirmi alla misericordia autentica, che contempla il perdono, ma soprattutto richiede l’onere del riconoscimento della propria colpa, la fatica del ravvedimento e anche qualche salutare castigo. Essere misericordiosi significa amare davvero chiunque sia caduto in errore, e scusarlo è l’unico modo di non amarlo.
Sicuramente comparirà sulla scena mediatica qualche psicologo – magari anche qualche prete – che inviterà i genitori e gli educatori di questi ragazzi a fare un serio esame di coscienza e a domandarsi dove hanno sbagliato e come possono lenire le ferite dei loro figli, ascoltando ed esaudendo le loro richieste, senza costringerli ad atti estremi. Io dico che, intanto, bisogna aiutare questi ragazzi a riconoscere che loro hanno sbagliato, che hanno ferito i sentimenti di chi li ha messi al mondo e li ha accuditi, che hanno creato inutili problemi a chi è stato costretto a inseguirli e a fermarli su un’autostrada che è un bene di tutti. Si dica loro che hanno messo a repentaglio la vita loro, ma soprattutto quella di migliaia di cittadini che guidano la macchina dopo aver sostenuto un esame di guida che ha messo loro in mano una regolare patente.
Li si metta in un salutare castigo, non per qualche minuto o qualche ora o qualche giorno. Si generi lo spazio benefico del silenzio, della riflessione, del pentimento, sino a prepararli a richiedere essi stessi un tempo prolungato di penitenza. Non manchi l’ascolto, ma soprattutto non manchino parole forti e sagge che essi debbano ascoltare.
Se mi posso permettere un ultimo auspicio, preso a prestito dalla legge del contrappasso che aleggia sull’Inferno di Dante Alighieri, domanderei: a uno che sa guidare senza la patente si potrebbe non dare la patente anche quando avrebbe l’età per guidare?