Quinta Domenica di Quaresima. Il dito della giustizia…

L’episodio della mancata lapidazione della donna sorpresa in adulterio avviene nel tempio di Gerusalemme. Il perdono di Gesù arriva sin dentro il luogo che rappresenta il cuore della fede e lo scuote nelle fondamenta. Si direbbe che egli scrive il suo perdono inchinandosi a terra sul pavimento di pietra del tempio e usando il dito della giustizia di Dio. Il culmine del nostro cammino quaresimale – domenica prossima entreremo nella Settimana Santa – ci conduce a mettere insieme due parole che noi teniamo ben distinte e che in Dio addirittura coincidono: perdono e giustizia. Nel nostro linguaggio la misericordia che giunge sino al perdono è un atto con cui bisogna per forza passare sopra alla realtà con un colpo di spugna, con cui bisogna “scusare”. E infatti noi abbiamo confuso lo “scusare” con il “perdonare” e per questo continuiamo a portarci addosso i rancori che ci avvelenano l’esistenza: scusa questo e scusa quello, e tutto resta come prima, e perdiamo di vista la bussola della verità e della giustizia. Già, della giustizia, poi, abbiamo una pratica e una rappresentazione che rasenta il ridicolo, perché essa è amministrata in una sorta di contrattazione umana dentro una selva di leggi e codicilli: la stessa giustizia che condanna spietatamente il ladro di polli, assolve diplomaticamente altre ruberie ben più consistenti ma fatte con i guanti bianchi. Il caso capitato a Gesù avrebbe trovato nella giustizia civile di oggi strenui avvocati difensori dell’adulterio, come diritto individuale e segno di emancipazione della donna, a patto che sia tra adulti consenzienti e, comunque, su di esso la stessa giustizia civile può sempre intentare una redditizia causa di divorzio. Ma, è ovvio, il dito di Gesù non scrive, per terra, sul pavimento del tempio, questo tipo di giustizia. Scrive il perdono che, in Dio, coincide con la giustizia. È significativa la confessione di san Paolo: «Per Gesù Cristo ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede». La scena evangelica è il trionfo della giustizia che viene da Dio e che anche noi possiamo attingere nella nostra fede in Cristo. Il perdono è giusto perché non cancella la fatica – alla donna viene chiesto un impegno autentico di cambiamento: «va’ e d’ora in poi non peccare più» – ma elimina la paura – e Gesù, notiamo, si è messo per terra, proprio lì dove presumibilmente stava la donna terrorizzata alla prospettiva quasi certa di essere lapidata – e rimette in condizione di basare la vita sulla fede in Cristo Gesù. Come già nella parabola ascoltata domenica scorsa, anche oggi scopriamo un atteggiamento sbagliato degli scribi e dei farisei. L’errore più grave che essi compiono non è quello di basare il loro giudizio sull’applicazione rigida di una disposizione di legge. L’errore più grave è quello di andarsene, quasi a sottolineare che essi erano lì per lapidare e, se non potevano uccidere quella donna, non hanno nulla da ricevere da quell’incontro. «Cominciando dai più anziani» se ne vanno, rinunciando a restare sotto la giustizia di Dio. Sant’Agostino commenta efficacemente la scena, dicendo che «relicti sunt duo, misera et misericordia – rimasero solo due, la misera e la misericordia». Non «la miseria e la misericordia». Da una parte non c’è la miseria, ma solo una donna misera, resa tale dal peccato, che, però, non può mai eliminare del tutto l’impronta di Dio nell’uomo. Per quanta miseria possa investire un uomo, egli resta misero, ma non diventa mai una miseria irrecuperabile, quasi una sostanza di male. La giustizia di Dio interviene con la misericordia più grande, che è il perdono, proprio perché con questo atto ristabilisce una bellezza originaria. Anzi, ciò che avviene non è un restauro ma un vero e proprio rinnovamento, perché l’uomo perdonato è più bello dell’uomo che non ha ancora peccato. È vero, dunque, che di fronte alla misera sta la misericordia nella persona stessa di Gesù. Peccato per quei farisei e scribi che se ne sono andati, pensando di non avere nulla da ricevere. Essi rimasero sotto il peso delle pietre che non avevano lanciato. Quella donna si rialzò. E noi?

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