Quando arriva la sera del 31 dicembre, ogni anno, siamo presi tra due fuochi. Il più acceso è quello della lamentela, che dà voce al consuntivo delle fatiche realizzate e dei sogni irrealizzati. Lamentarsi può addirittura essere un atto umanamente terapeutico, ma quando questo rito lamentoso del 31 dicembre diventa esagerato e va ad intaccare i giorni di un anno come se fossero un unico blocco di negatività, allora lamentarsi è solo una forma di inaccettabile ingratitudine verso la vita. L’altro fuoco è quello della festa, una specie di stordimento collettivo che interviene come un provvidenziale pompiere che spegne l’incendio della delusione. Siamo lamentosi e festaioli insieme, e non è l’unica contraddizione di questa notte…
La fede cristiana ci invita ad uno sguardo profondamente diverso. Questa sera è liturgicamente già domani, e domani è ancora l’oggi del Natale: la Chiesa celebra la nascita di Gesù per otto giorni, innestando la festa dentro i giorni feriali e prolungando la gioia del Natale. Peccato che siano pochi i cristiani che se ne accorgono, perché sarebbe un percorso oltremodo interessante e rivoluzionario. Ma ormai anche quest’anno i giorni dell’Ottava sono alle nostre spalle e stanno confluendo in questa notte, che può essere considerata come un’altra notte di Natale. Allora, può essere questo lo sguardo nuovo del cristiano, ogni volta che un anno finisce, e la parola che lo condensa è un verbo: ringraziare. In fondo, stasera ci spetta il compito che fu dei pastori nella notte in cui nacque Gesù: «se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto». Torniamo a ringraziare.
Nel gesto di tornare è racchiuso un itinerario della memoria lungo l’anno appena trascorso. I messaggi che ci provengono in queste ore invitano a dimenticare, a gettarsi alle spalle, a dissipare una memoria di giorni in cui non ci sarebbe nulla di buono da salvare. È un errore madornale. Intanto perché le impronte di bene sono disseminate ovunque, e vale la pena ricordarsele stasera, legandole a volti, avvenimenti ed incontri precisi. E poi perché anche il dimenticare è un modo di ricordare, di serbare comunque nel cuore, così che anche gli errori compiuti, gli inciampi di percorso, le ferite subite diventino utili in un cammino rinnovato di cambiamento. Tornare è il gesto per eccellenza di Maria, che la Chiesa pone come architrave di un nuovo anno, venerandola quale Madre di Dio. Il vangelo ci ricorda che «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Il verbo tradotto con “meditare” dice proprio l’azione di chi vuole mettere insieme le tessere di un mosaico per costruire un disegno unitario. Esattamente il contrario di quanto proposto da chi immagina questa sera come un rito di insensata e istintuale rottamazione di un anno.
Tornare e… ringraziare. Ora, ringraziare è un’operazione insieme facile e difficile. È difficile se uno pensa che il ringraziamento debba essere altrettanto indiscriminato della ipotetica rottamazione. Non ci è chiesto di ringraziare di ogni cosa, perché sarebbe umanamente impossibile, anzi sarebbe una richiesta disumana. Ci è chiesto di ringraziare in ogni cosa, di scovare cioè quel bene che tenacemente s’affaccia in ogni vicenda triste o lieta della vita. Anche delle fatiche e dei dolori si può ringraziare, da cristiani, se vi riconosciamo la presenza del Signore che ci fa maturare. Questa presenza dobbiamo saper leggere, un po’ come i pastori che non avevano certo visto un grande re o un potente governatore. Ringraziare – come ci siamo detti a Natale – è azione che si addice a chi sa scorgere il segno della mangiatoia, il piccolo ed il poco che si è annidato tra le pieghe delle giornate di quest’anno, regalandoci sprazzi di essenziale, ben più preziosi di mille abbondanze. Ecco che allora ringraziare diventa facile. Perché ringraziamo per quei doni che abbiamo ricevuti e a cui abbiamo dato l’adesione del nostro impegno. Mi torna in mente una frase di Gesù: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Ringraziare è facile perché è Lui, il Signore, che tira le fila della storia e noi siamo felici di essere al suo servizio. Ecco, stasera dovremmo proprio essere felici di ringraziare.
Sarò anche monotona, anzi, lo sono proprio!…voglio ringraziarti caro don Agostino per questa bella riflessione che colma un vero vuoto delle riflessioni/omelie che, ahimè, molto carenti dalle mie parti ( e qui scatta la lamentela!!!)
Ma tiriamo fuori il positivo: accorgersi di una carenza è già qualcosa e stimolo per guardarsi attorno per trovare di meglio.
Tanti auguri per un proficuo 2013 anche su questo blog!