Cristo Re dell’universo. La distrazione dalla verità…

«Dare testimonianza alla verità», nella risposta che Gesù dà a Pilato, equivale a svelare il contenuto del regno che Gesù è venuto a portare nel mondo. A noi uomini del ventunesimo secolo, imbevuti di relativismo, viene spontaneo domandare: «Ma quale verità?». Noi siamo stati abituati a trasformare le opinioni in verità, ciascuno la sua, per cui il risultato è che ne esistono tantissime di verità, o meglio, non ne esiste nessuna, proprio perché ciascuno se n’è fatta una su misura. Noi ci siamo arrogati la pretesa di creare la verità, di misurarla con il nostro metro personale, mentre la verità è essa stessa la misura della realtà. Gesù – che, bene inteso, aveva avuto il coraggio di affermare di se stesso: «Io sono la via, la verità, la vita» – giunto al momento finale della sua vita, nel processo davanti al procuratore romano, afferma di essere re e di esserlo proprio per dare testimonianza alla verità. Di lì a poche ore si capirà quale testimonianza Gesù intende dare alla verità, e la croce sarà la cattedra di questo insegnamento regale. Ma qui, davanti alla domanda di Pilato, Gesù condensa il significato della sua incarnazione – «per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo» – in questa ferma volontà di offrire una testimonianza a servizio della verità. Pilato, quella domanda che ci viene spontanea, in effetti, la rivolge a Gesù: «Che cos’è la verità?». È una domanda meno relativistica della nostra, perché sembra riconoscere che di verità ne esista una. In realtà, quella di Pilato è una domanda distratta, una domanda che non si aspetta alcuna risposta, perché è fatta proprio per contestare a Gesù di essersi messo su un terreno di difesa sdrucciolevole: se egli è un re, deve porre in tavola altri argomenti, che non siano quello di fare riferimento ad un fumoso concetto di verità. I re, quelli che regnano sulla terra, la verità non la testimoniano, ma la sanno gestire con un oculato uso del proprio potere. È distratto Pilato, mentre proprio da quelle parole avrebbe dovuto ricavare lo spessore della regalità di quell’imputato umano che profumava di divinità, e che parlava di un regno non di quaggiù (nel senso che non trae la sua origine da un potere umano). Noi rischiamo di essere altrettanto distratti, oltre che imbevuti di quel relativismo che di fatto ha estromesso il tema della verità da quelli che contano.

La verità non esiste – si dice oggi con sufficienza – salvo poi averne bisogno ad ogni angolo della vita. La verità non esiste, e proprio questa ottusa negazione ha fatto sì che piombassimo in una profonda insicurezza, segnata da mille paure, da corse senza meta, da innumerevoli viaggi a cui manca un destino. Nemmeno il navigatore che abbiamo sulla macchina sa indicarci una strada, se non gli diamo un punto di destinazione, e noi, invece, ci ostiniamo a vivere di corsa, alla giornata, essendoci dimenticati l’orizzonte della verità. Forse la festa di Cristo Re, in fondo ad ogni anno liturgico, viene proprio a sollecitare la nostra uscita da questa distrazione sempre più profonda che rischia di abbruttire la vita. Come Pilato, siamo tutti presi dai piccoli sotterfugi per arrivare a sera, per conservare il nostro piccolo controllo su quel mondo piccolo che ci siamo creati, usando la circonferenza della nostra ombra. Gesù vuole spalancarci un orizzonte più ampio, a cui aderire non solo con gli occhi, ma anche con il cuore, con la mente e con le braccia. Mettere sul tappeto il tema della verità significa dilatare la nostra vita, sottrarla alla sua insicurezza cronica per metterla a servizio di una testimonianza più grande. Significa scrivere, come destinazione del nostro navigatore, parole quali Dio, amore, verità, e accettare che le strade che vi portano e che noi vogliamo percorrere siano umiltà, sacrificio, perdono, impegno, solidarietà, accoglienza, ma anche gioia, condivisione, felicità. Il fatto che il nostro re, in quel processo davanti a Pilato, abbia dichiarato che la sua vita terrena c’è stata «per dare testimonianza alla verità» non può non dare una direzione diversa anche alla nostra vita di sudditi, a cui quel re ha salvato la vita con il suo dono sino alla fine. In fondo, la risposta alla domanda cruciale che Pilato fece distrattamente quel giorno – «Che cos’è la verità?» – non sta scritta in un libro, ma è ancora oggi affidata alla testimonianza degli uomini.

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