Corriere di Como, 16 novembre 2021

230 colpi di testa non sono pochi, anche se la partita è durata cinque anni (dal 4 ottobre 2016 ad oggi). Sarebbe stato bello continuare a “giocare” e magari segnare ancora qualche goal, ma purtroppo l’arbitro ha emesso il triplice fischio e bisogna lasciare il campo perché lo stadio chiude.
Il quotidiano Corriere di Como termina oggi le sue pubblicazioni. La notizia è questa e non me la sento di cercarne un’altra come argomento della mia rubrica settimanale.
Ma non è mia intenzione scrivere un necrologio. Anche questo mio ultimo articolo è un colpo di testa e vuole essere – come lo sono stati tutti gli altri – una riflessione innescata da un fatto. La chiusura di un giornale non è semplicemente il blocco di una rotativa. Non si ferma solo un flusso di carta. È un piccolo mondo di uomini e donne che improvvisamente si inceppa. Ci sono persone – giornalisti e poligrafici – che restano senza un lavoro in un momento storico che la pandemia ha reso ancora più delicato, e a loro va tutta la mia solidarietà. C’è una famiglia che viene come scompaginata, relazioni che s’interrompono, notizie che rimangono sospese e che non verranno più approfondite e non saranno più date, navigazioni che non hanno più un porto in cui attraccare e un molo da cui salpare.
Un giornale è un archivio della memoria storica di una città, di un territorio. Non un semplice database di articoli, parole e immagini che un motore di ricerca può agevolmente recuperare. La memoria delle persone è più ricca e selettiva, è un filtro di ricordi, di incontri, di avvenimenti e personaggi che sono decisivi e che magari non ci sono più. Mi si permetta di fare un solo nome, quello di Adolfo Caldarini, indimenticato primo direttore del Corriere di Como.
Un giornale è un crocevia di vita e di lavoro, luogo in cui si creano legami e dove si impara il mestiere. E qui esprimo la mia gratitudine al direttore Mario Rapisarda per avermi offerto la possibilità di continuare la mia esperienza giornalistica. Essa è iniziata alla fine degli anni Settanta presso la redazione di un’altra gloriosa testata quotidiana di Como, L’Ordine, che purtroppo fu anch’essa chiusa nel luglio 1984. E dopo l’allontanamento dal Settimanale diocesano, nel 2011, ritrovai la gioia e la libertà di scrivere proprio sulle pagine del Corriere di Como, che ospitò diversi miei commenti ed editoriali. Dal 2013 al 2015 mi fu affidata dal direttore la rubrica delle lettere con la responsabilità di dare una risposta alle domande dei lettori: ricordo ancora la fatica di calarmi nelle più svariate situazioni su cui venivo interpellato, per cercare di essere documentato e chiaro. Il “Corrierino” – come da subito si è cominciato a chiamarlo – per me è stato insieme una palestra e un compagno di viaggio.
Forse per questo non riesco a farmi una ragione che questo spazio di libertà, occupato dignitosamente per un quarto di secolo, da domani sia vuoto.
“Un giornale è un archivio della memoria storica di una città, di un territorio”. Il territorio comasco perde uno spazio di libertà durato per ben un quarto di secolo; rimane in vita soltanto un quotidiano. Auguro a Don Agostino Clerici di poter continuare a scrivere le sue riflessioni innescate dai fatti (i cosiddetti colpi di testa) in altri spazi e perchè no, fra un pò di tempo, in un “Corrierino risorto” anche se in altre modalità…
Forza Don.
E’ finito un bel campionato. Adesso andrai in ritiro per prepararti al prossimo.
Ti aspetto.
Mauro Cifani.
Anch’io ho provato l’esperienza – tristissima – della chiusura di testate ( tre!) a cui collaboravo fedelmente e in modi diversi. Resta sempre un vuoto anche se, grazie al cielo, qualche relazione amicale continua.Qui la perdita è maggiore trattandosi di un quotidiano e di un lavoro per molte persone. Auguro a tutti una rapida sistemazione sicura.
Come sono dispiaciuto di non leggere il 231° Colpo di testa. Abbiamo perduto un prezioso spazio di libertà!