QUARTA DOMENICA DI AVVENTO – Anno B
Il re Davide – come ci ha raccontato la prima lettura – aveva voglia di fare qualcosa per Dio: si sentiva in colpa nell’abitare una bella casa di legno, mentre la presenza di Dio era custodita sotto una tenda. Davide voleva costruire una casa a Dio, e confida il suo progetto al profeta Natan, il quale gli dà il suo appoggio, utilizzando una espressione molto forte: «Il Signore è con te» (è la stessa con cui l’angelo saluterà Maria, annunciandole la nascita di Gesù). In effetti, il proposito del re è animato da una buona intenzione, eppure sia Natan che Davide sono costretti a fare marcia indietro, perché Dio in persona costruirà una «casa», prendendo lui l’iniziativa.
Si gioca sul duplice significato di questa parola: casa è la costruzione solida, ma è pure la discendenza che permette continuità nel tempo ad un popolo. Davide vorrebbe costruire una casa per Dio, ma sarà Dio a dare una casa a Davide. Noi abbiamo voglia di fare qualcosa per Dio? Talvolta ci diciamo che non avremmo permesso che Gesù nascesse in tanta povertà, invece forse non ci saremmo nemmeno accorti di quella donna con gravidanza a termine e magari avremmo continuato a vivere le nostre già poche certezze senza complicarci troppo la vita.
Maria riprende la scena – sempre la stessa, quella della annunciazione – e ci aiuta a metterci in una disponibilità umile ed insieme attiva. Dentro di lei Dio va preparando proprio quella «casa» promessa al re Davide tanti anni prima, una casa di carne, una casa viva. A pochi giorni dal Natale di quest’anno, anche noi dobbiamo non tanto imitare il re Davide nella sua voglia di fare qualcosa per Dio, quanto imitare Maria nel suo essere disponibile a che Dio faccia qualcosa dentro di lei, anzi faccia addirittura crescere Qualcuno nel suo grembo verginale.
È radicalmente diverso: non tu fai una casa a Dio, ma Dio trasforma te nella sua casa, nel luogo in cui gli piace dimorare, nei passi che gli piace compiere con i tuoi piedi, nelle parole che vuole dire con le tue labbra, nelle opere che vuole agire con le tue mani. Che il Signore venendo ci trovi in questa disponibilità!
Essere casa di Dio. La nostra vita come grembo del nostro Signore. Non tempio ( mura, recinto, rito) ma casa ( relazione, famigliarità, quotidianità). Non tempio ma tempo, cioè vita.
Ogni gesto, ogni momento aperto alla consacrazione; ogni storia ( la nostra) divenuta storia sacra. L’incontro non rattrappito in un’occasione, ma dilatato lungo il trascorrere dei giorni.
“La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano. La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.” canta Francesco De Gregori. E’ il Signore che conduce la storia, che ci trasforma nella sua casa in cui viene a dimorare: la nostra storia diviene storia sacra… “La nostra vita come grembo del nostro Signore” scrive Anna con un termine squisitamente femminile; noi maschi potremmo sostituire “grembo” con “cuore” (inteso non certamente come muscolo-cuoricino). Don Primo Mazzolari ha definito il posto di lavoro “l’altare del Signore”. Il posto di lavoro non è soltanto il telaio o la catena di montaggio, ma è anche il personal computer con cui ti relazioni con allievi, parenti, amici, membri della comunità, cittadini del mondo. L’incontro con il Signore non è limitato ad un abitudinario precetto domenicale, ma si dilata lungo il trascorrere della settimana “nei passi che gli piace compiere con i tuoi piedi, nelle parole che vuole dire con le tue labbra, nelle opere che vuole agire con le tue mani” come scrive don Agostino…
Che il Signore mi aiuti ad essere consapevole che mi trasforma nella sua casa, anche quando sono distratto e non me ne rendo conto…