Corriere di Como, 8 settembre 2020
Devo ammettere che faccio fatica ad accettare la posizione dei cosiddetti negazionisti del Covid. Negare l’evidenza comprovata dalla storia e dalla scienza equivale a minare una delle basi su sui si regge la nostra società. Questo non significa affatto togliere legittimità ad un dibattito serio sui fatti e sulle cause di un fenomeno come la pandemia in atto. Si può e si deve scrivere e cancellare sulla lavagna, ma portar via la lavagna credendo in tal modo di risolvere il problema è una scorciatoia inaccettabile e pericolosa.
È vero altresì che tutti i negazionismi sono fenomeni di nicchia legati a ignoranza o a riduzioni ideologiche. Ma la loro visibilità sulla Rete, ove spesso mancano filtri di disamina critica, li rende fruibili ad un pubblico più vulnerabile. È sintomatico, poi, come il negazionismo Covid trovi saldature con altri movimenti di protesta (come i no vax che si oppongono ai vaccini, e i no 5G che fanno la guerra all’ultimo ritrovato della telefonia mobile): le piazze sono sempre variegate e fenomeni diversi spesso trovano una alleanza a fronte di un nemico comune.
I negazionisti, che la scorsa settimana hanno fatto un assembramento senza mascherine a Roma, inneggiavano alla libertà e alla verità. Curioso che le due parole stiano insieme, e che stiano insieme soprattutto in riferimento al Covid. Una verità sulla pandemia da coronavirus che sta affliggendo il mondo, infatti, è ancora là da venire e la ricerca scientifica si sta cimentando giorno dopo giorno nella conoscenza del virus e nella creazione di un valido vaccino il più presto possibile (compatibilmente con la sua sicurezza). Sappiamo che le verità scientifiche, poi, sono sempre soggette a verifica e che sono tali sino ad una loro probabile falsificazione (secondo il famoso principio coniato dal filosofo Karl Popper). Come a dire che l’unica verità accertabile e accettabile – anche in riferimento al Covid – è da considerarsi provvisoria!
A fronte di una tale verità ancora tutta da definire, che cosa significa inneggiare alla libertà? Questo è il punto più delicato della faccenda. Sicuramente, a maggior ragione in un clima di incertezza, non si esercita la libertà facendo ciascuno ciò che si vuole, in una anarchia che rischia d’essere pericolosa prima di tutto per chi ne fa il suo stile di vita. Per essere responsabilmente liberi – così da permettere anche agli altri di esserlo – di qualcuno bisogna fidarsi e accettare quindi alcune regole comuni che, se rispettate da tutti, permettono a tutti di vivere in un contesto di parziale sicurezza. Mascherina, distanziamento sociale e igiene personale rappresentano questo minimo comune denominatore anti-Covid. Il fatto che nel mese di agosto qualcuno lo abbia dimenticato ha comportato indubbiamente una ripresa della curva dei contagi, ed è questo un dato innegabile. Si tratta di una piccola verità che richiama ciascuno ad un esercizio ancora più responsabile della propria libertà.
Per rispondere al negazionismo, seriamente e serenamente, basta fare appello all’evidenza della realtà. Ma di fronte alle sfide future che ci aspettano occorre aggiungere anche una iniezione di fiducia. Negli slogan lascerei cadere il riferimento a verità e libertà. Ci metterei altre due parole: responsabilità e fiducia. L’una, da coniugare ciascuno con il suo ruolo. L’altra, di cui abbiamo tutti bisogno.
Mentre K. Popper afferma che la scienza deve fare ipotesi che possono momentaneamente essere « negate » per procedere con serietà nella ricerca, il « negazionismo « fondato sulla non conoscenza scientifica può danneggiare gravemente il senso di responsabilità e fiducia di una comunità.
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