Corriere di Como, 17 marzo 2020
Ho una formazione umanistica e filosofica, e forse proprio per questo sono molto interessato alla conoscenza e all’approfondimento del dato scientifico circa l’epidemia di coronavirus che sta segnando indelebilmente queste settimane con una emergenza sanitaria senza precedenti e con provvedimenti di distanziamento sociale che ci costano molta fatica nel regime di libertà in cui siamo abituati a vivere. Ho letto con molto interesse il libro del prof. Roberto Burioni “Virus, la grande sfida”, un vero e proprio instant book che offre pillole di biologia, virologia ed epidemiologia unite ad una presentazione delle epidemie che hanno riguardato la storia dell’umanità (soprattutto la più recente relativa al secolo scorso e ai due decenni appena passati).
In questi giorni sento spesso dire che dobbiamo cambiare il nostro stile di vita. Credo che lo si intenda riferito a queste settimane. Eppure mi sembra che nulla potrà più essere come prima e che un nuovo stile di vita sarà necessario soprattutto dopo la fine dell’emergenza. Intanto, il forzato arresto nelle nostre case ci ha resi consapevoli che non siamo abituati al silenzio, alla riflessione, alle relazioni familiari, alla creatività nella gestione del tempo. Sì, perché il tempo, nonostante la pretesa individualistica e autarchica che nutriamo, è gestito in verità da orologi esterni a noi e da ritmi imposti da appartenenze sociali senza le quali ci manca la terra sotto i piedi. Quindi, il tempo del coronavirus e quello che lo seguirà è un’occasione per riappropriarci della nostra libertà interiore. Detto in parole povere, dobbiamo reimparare a decidere – nel cuore di questa parola c’è l’immagine del tagliare e in qualche modo ridurre all’essenziale – e a recuperare quella ricchezza personale che l’omologazione imperante ha come depotenziato.
Mi ha molto colpito nel libro del prof. Burioni la descrizione della dinamica con cui il virus riesce ad ingannare le macchine cellulari così che esse sintetizzino non le proteine necessarie alla cellula umana, ma quelle che servono al virus per replicare se stesso. Così come è illuminante venire a conoscere la diversità tra le cellule umane e i virus nel loro replicarsi: le nostre cellule sono molto precise e non commettono errori nella duplicazione del DNA e se si accorgono che c’è uno sbaglio immediatamente lo correggono; i virus invece sono faciloni e si moltiplicano velocemente commettendo molti errori, ma (entro una logica darwiniana) gli errori inutili o dannosi al virus vengono persi immediatamente mentre gli errori utili alla sua diffusione vanno avanti e permettono al virus di vincere la scommessa del contagio.
E qui, nel dettato dei processi biologici, oltre che una trascrizione di quanto spesso avviene nelle trame sociali, mi pare ci sia per noi una nota di grande speranza. È vero, l’intelligenza lenta e ordinata dell’uomo in partenza rischia di essere ingannata dall’intelligenza veloce e stupida del virus, che nel corso della storia ha vinto tante volte le sue battaglie con un costo altissimo in vite umane. Ma nell’intelligenza umana c’è un salto qualitativo in continua evoluzione che – soprattutto a partire dall’Ottocento e in modo particolare negli ultimi decenni – sta permettendo alla scienza di vincere le guerre con il virus. E così sarà anche con il Covid 19.