Corriere di Como, 11 febbraio 2020
È impressionante veder sfrecciare nella pianura un treno dell’alta velocità. Oppure, laddove la linea ferroviaria affianca l’autostrada, ritrovarsi a essere superati dal treno che sta andando al doppio della tua macchina. Si ha nettamente l’idea della velocità vertiginosa a cui quel treno sta viaggiando, mentre quando si è comodamente seduti nello scompartimento non si ha la sensazione di andare così veloci, anzi si ricava una percezione di sicurezza, visto che anche la bottiglietta d’acqua resta ferma sul tavolino tra i sedili vicino al finestrino, che non vibra nemmeno. Eppure quella sicurezza sta correndo su due binari a 300 km/h e, a pensarci bene, non è molto diversa dall’equilibrio dell’alpinista che sta camminando, magari in cordata, su un crinale alpino con un abisso a destra e uno a sinistra. Ma noi, come comodamente seduti su una freccia, siamo talmente tranquilli che riusciamo a immergerci piacevolmente nella lettura di un libro, senza pensare a quello che potrebbe succedere se – come nella scena di qualche film western – il treno dovesse trovare uno scambio aperto su un binario morto che lo porta quindi fuori strada. Solo che, a differenza della vecchia locomotiva a vapore, il treno dal muso affusolato è una scheggia ingovernabile una volta fuori dalla sua direttrice di marcia.
Ma noi siamo tranquilli, perché ci è stato assicurato che questo è impossibile. Infatti, quasi ogni metro delle nuove reti ferroviarie ad alta velocità è monitorato elettronicamente da sensori che mandano i dati alla Centrale di controllo del traffico, che a sua volta invia le informazioni in tempo reale alla cabina del treno dove a verificare la sofisticata strumentazione di bordo ci sono macchinisti esperti. Tutto tranquillo, tutto vero. Almeno sino a giovedì 5 febbraio 2020 alle 5,35, sullo scambio 05 al chilometro 166+771 della linea ad alta velocità Milano-Bologna sul Frecciarossa AV 9595 lanciato a 290 km/h.
Che cosa è successo è ancora al vaglio degli inquirenti. Sta di fatto che l’impossibile si è verificato: un deviatoio (escluso dal sistema di monitoraggio in quanto guasto) evidentemente non si trovava in posizione normale, in linea con il tracciato del treno, e avrebbe fatto deragliare il locomotore portando a morte certa i due macchinisti, mentre il distacco automatico dei vagoni ha evitato un bilancio più tragico, conducendo in avanti il resto del convoglio, con il ribaltamento solo del primo vagone che per fortuna era praticamente vuoto. Su quello scambio fino alle 4.45 avevano lavorato cinque tecnici di Rete Ferroviaria Italiana che sono ora indagati e che sono già stati interrogati dagli investigatori.
Quando accade una tragedia imponderabile, si ha quasi il pudore di imputarla a un errore umano o all’imprudenza e alla distrazione di qualcuno. Si dà la colpa a quella tecnologia che magari si è appena finito di magnificare, come se un guasto tecnico non abbia comunque alla sua origine un atto umano. E quando diventa difficile scovare una spiegazione razionale, si invoca la fatalità. Ma la fatalità non esiste. È che viene a galla la consapevolezza che le nostre vite non ci appartengono totalmente, perché sono intrecciate in una solidarietà umana dei benefici ma anche degli errori. Dipendiamo gli uni dagli altri, ed è un motivo sufficiente per invocare la responsabilità.