TRENTATREESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
Dopo aver ascoltato questa pagina evangelica, è opportuno chiarire subito quelle che non sono affatto le intenzioni di Gesù. Intanto, egli non vuole suscitare paura e angoscia nei suoi ascoltatori. E poi, soprattutto, non intende parlare del futuro, della fine del mondo o di cose del genere. Semmai, il suo proposito è di ricondurre gli uomini sul terreno a loro più congeniale, che è il presente, ricordando, però, che tutto corre verso un Fine, prima e più che verso… una fine. È come se Gesù dicesse a ciascuno di noi: «Cogli l’attimo che passa, perché Io sono dentro ogni attimo di storia, sono perfettamente incarnato dentro ogni vicenda umana, dentro ogni vita e dentro ogni attimo di ogni vita. Io, il Signore della storia, sto alla porta di ogni attimo della tua vita!». Sì, Gesù dice proprio così ai suoi discepoli: «Sappiate che io sono vicino, alle porte!». Quando? È la domanda più spontanea per gente come noi che vive nel tempo e che spesso vive il tempo in un modo traumatico, rincorrendo sempre qualcosa che viene dopo e perdendo di vista ciò che c’è adesso. Ebbene, Gesù a questa domanda non risponde. Dice soltanto: sappiate che io sono sempre alle porte! Del resto, i segni che Gesù fa balenare davanti ai suoi ascoltatori – nella parte di discorso che precede egli parla di guerre, terremoti, carestie – sono presenti in ogni epoca storica. Quindi, Gesù intende dire che egli sta alla porta di ogni giorno della nostra vita. E non solo e non tanto perché potrebbe essere l’ultimo. Ma soprattutto perché è il presente, è l’«ora», il luogo e il tempo del suo perenne manifestarsi. Non è un Dio lontano, ma è un Dio vicino; che sta alla nostra porta, adesso, e non che vi starà in un futuro per noi indefinibile.
L’immagine a cui Gesù fa riferimento è quella altamente lirica che troviamo nel Cantico dei Cantici: l’amata è in casa, arriva l’amato e bussa alla porta, ma l’amata – forse per pigrizia – non s’alza ad aprire, e l’amato passa oltre, e l’amata è costretta ad uscire nella notte e a cercarlo per strada (cf Ct 2,10-3,2).
La stessa immagine torna nel libro dell’Apocalisse. La lettera scritta alla chiesa di Laodicea – una delle sette chiese dell’Asia Minore cui il libro è indirizzato – è una violenta accusa ad una comunità cristiana che si è mondanizzata, è diventata tiepida, né calda né fredda, omologata al vivere comune nel clima gaudente della città. Perciò Cristo la vomita, ma non l’abbandona di certo. Anzi, assicura proprio così: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Se le cose stanno così, se Gesù ci riporta alla serietà del nostro presente, allora l’atteggiamento giusto da assumere è quello di vivere con serietà la nostra concreta condizione.
Ricordo che il padre spirituale in Seminario ci rammentava spesso un famoso adagio: «Ogni volta che sali l’altare per celebrare la Messa, comportati come se fosse la prima, l’ultima, l’unica». Ecco, queste parole valgono anche per la vita di ognuno di noi: «Quando ti alzi la mattina e inizi la tua giornata, vivila come se fosse il primo giorno che Dio ti concede, come se fosse l’ultimo giorno della tua vita, come se fosse l’unico». Ma è monotona, il lavoro è lo stesso, le persone anche, i bambini strillano, i figli stancano, i genitori… rompono! Se la vedi così la tua vita, vuol dire che non stai… cogliendo l’attimo che passa, che non ti accorgi che il Signore, il tuo Signore, sta alla porta proprio quando i bambini strillano e i genitori… rompono. Il fatto che egli stia alla porta, vuol dire che la storia ha un Fine, si dirige verso un Destino comune di felicità. E vuol dire che quel Fine è come anticipato dentro ogni attimo. Basta solo che tu ti renda disponibile a vederlo, a considerarlo, a farlo diventare il motore della tua vita. Basta alzarsi, aprire la porta e fare entrare Dio dentro ogni attimo presente della tua vita.
Dice Chiara Lubich: «Il Paradiso è una casa che si costruisce in questa vita e si abita nell’altra». Proprio così. Mi sento di aggiungere solo un consiglio: nelle nostre famiglie è necessario richiamarsi a vicenda questa verità che rischiamo di dimenticare. Come? Pregando insieme, marito e moglie, genitori e figli. La preghiera è lo sguardo verso l’alto che sa tenere insieme, nell’amore, la fatica e la gioia delle vicende quotidiane.