SECONDA DOMENICA DI PASQUA – Anno B
La misericordia di Dio è al centro di questa seconda domenica di Pasqua. L’abbiamo celebrata proprio nel mistero della morte e della risurrezione di Gesù, dalla lavanda dei piedi al sepolcro vuoto, e oggi la poniamo al centro della nostra preghiera. Misericordia è un atteggiamento che ha bisogno di un cuore che venga a contatto con la miseria e che se ne lasci commuovere. Quando veniamo a conoscenza di un dolore, di un disagio, di una sofferenza che colpisce l’umanità, ci sentiamo tutti più buoni, più propensi a donare: questa è misericordia umana, un sentimento nobile che spesso resta però epidermico, superficiale, passeggero. La divina misericordia che oggi siamo invitati a contemplare è assai più profonda ed eterna, perché è la misericordia di Dio, eppure essa risiede in un cuore umano che prova compassione per la nostra miseria. Un cuore trafitto, quello di Gesù Cristo, che continua a versare sangue e acqua per la nostra salvezza.
Avvertirono la divina misericordia gli apostoli che se ne stavano chiusi e tramortiti dalla paura la sera di Pasqua. La sentirono viva non come un languorino che attraversa il cuore, ma come la forza di una persona che stava in mezzo a loro portando nel suo corpo le ferite dell’amore. Il cuore di Cristo si commosse di fronte alla loro miseria, e portò in dono la pace e generò la gioia.
Avvertì la divina misericordia anche l’apostolo Tommaso che quella sera non era con gli altri. Dov’era Tommaso? Non lo sappiamo. Non c’era, forse perché non aveva paura come gli altri. Forse perché si vergognava di come si erano comportati subito dopo la cena, nella notte della fuga. Non c’era magari perché anch’egli quel giorno si era messo in viaggio come i due discepoli di Emmaus. Anche lui faceva parte di quanti coniugavano al passato il verbo «sperare»? Sta di fatto che non c’era quella sera e non volle credere alle parole degli altri, che cercavano di confortarlo dicendogli di aver visto il Signore. Ma anche Tommaso, otto giorni dopo, avvertì su di sé la divina misericordia, e proferì la professione di fede più perfetta che si trovi nei Vangeli: «Mio Signore e mio Dio!». Ebbe bisogno di vedere per credere, ma questo fatto lo accomunava a tutti gli altri apostoli e alle donne: anch’essi credettero dopo aver visto. Ed è per noi importante la fede degli apostoli, fondata sulla visione e non sul sogno o su un pio desiderio, perché è la fede su cui si fonda la nostra, che non può più vedere il corpo del Cristo risorto. La nostra fede continua a vedere attraverso gli occhi di Tommaso e degli apostoli e così la divina misericordia raggiunge anche noi, rafforzando la nostra fragilità.
L’esito della Pasqua è trovarci comunità di credenti. Non fu facile la sera di quel primo giorno dopo il sabato, e poi otto giorni dopo. Continua a non esserlo oggi, perché ci intestardiamo a porre un mucchio di ostacoli e il Signore talvolta fatica ad abbatterli. «Non essere incredulo, ma credente!», ordina Gesù a Tommaso. L’incredulità è la mancanza di fiducia nel Signore, perché ciascuno di noi confida troppo in se stesso, mette al centro le proprie esigenze, assolutizza i propri dubbi. La fede è lo scatto di fiducia nel Signore, non certo la comprensione piena di come vanno le cose, ma il rendere subalterno il proprio desiderio alla promessa del Signore. Essere credenti significa ridimensionare le proprie attese, accettare che la realtà sia faticosa ma abitata da Dio. Talvolta siamo poco credenti perché abbiamo la preoccupazione di essere credibili, e in questo modo lasciamo fatalmente che sia il mondo a definire il contenuto della nostra fede. Se «credibile» è colui che asseconda l’attesa del mondo e ne provoca il consenso e l’applauso, allora mai come oggi il cristiano è chiamato ad essere, invece, «credente», cioè ad assecondare le attese di Dio e a provocarne… il silenzio. Certo, ad essere credenti si ha l’impressione di essere perdenti, isolati, portatori di una logica – quella dell’amore sino alla fine – che storicamente finisce sempre in croce. Eppure – ce lo siamo sentiti ripetere anche oggi – la logica dell’amore «vince il mondo». E la divina misericordia continua a nascondersi nelle ferite delle mani inchiodate e del fianco squarciato di Gesù, di Gesù risorto.
Se la misericordia Divina ha l’aria di essere una prova d’Amore, come mai ci sono in giro tante persone che ammazzano, che rubano, che calunniano, insomma tanti grandi peccatori? Se la misericordia non si applica mentre si è in vita, significa che alla fine della vita (scusi la ripetizione) il Signore ci chiede il “conto” e dopo ci concede la Divina misericordia che credo sia il Perdono!
La misericordia non annulla la libertà, vorrebbe metterla in condizione di agire. La misericordia di Dio non è una imposizione di un comportamento morale. La misericordia di Dio è la vita stessa, come dono da far fruttificare. Dio non chiede affatto il conto: davanti a lui, nella morte, la misericordia diventa giudizio.