Quando uno si alza per mettere alla prova un altro, parte già con il piede sbagliato. Il dottore della legge che interroga Gesù è una persona perbene. Eppure gli manca l’essenziale, ovvero la capacità di travasare il bene conosciuto dentro la vita. A che cosa serve il sapere, se resta sotto chiave nella propria testa? Dirà Gesù: a che serve il sale, se non dà sapore? Il dottore della legge, così come il sacerdote ed il levita della parabola, sono le tipiche persone che hanno ingessato il bene, così che paradossalmente, non possa… far del male. Sono uomini dalle idee chiare, ma immobili. La loro fede è un armadio. Pieno ma chiuso. Sono convinti che se tutti sapessero le cose che essi sanno, il mondo sarebbe migliore. E mettono continuamente alla prova gli altri per vedere se le sanno…
La prima domanda del dottore della legge è posta bene. È in prima persona; chiede in vista della vita eterna; sa che la si riceva in eredità, ma domanda «che cosa devo fare». Gesù sta al gioco. In un certo senso, rimanda il dottore della legge… al suo armadio. Glielo fa aprire: «Guarda dentro la tua fede ferrea e sicura. Fa passare gli oltre seicento precetti contenuti nella Legge. Sai bene che cosa devi fare!». La risposta del dottore è perfetta. Si prende un bel voto da Gesù: «Hai risposto bene». Promosso. Il dottore della legge richiude l’armadio, e continua a mettere alla prova Gesù. Egli è convinto di amare Dio con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, con tutta la sua forza e con tutta la sua mente. Ma vuole capire chi è il prossimo che deve amare come se stesso. Vedete. Non ha capito niente, lui che fa il saputo. Prima di richiudere l’armadio, ha controllato che Dio stesse su un ripiano bene in alto, ben distinto da tutto il resto. Come per il sacerdote ed il levita della parabola, anche per il dottore della legge Dio sta nel tempio, come una statua di gesso. Onesto e puntiglioso quanto loro, che sono così preoccupati di non contaminare la loro purezza esteriore nel contatto con il sangue del malcapitato aggredito dai briganti lungo la strada. Dio è nel tempio, non lungo la strada. Dio sta nella perfezione dei propri teoremi, nell’enunciazione esatta del «che cosa si deve fare per ereditare la vita eterna». Dio sta in un rito eseguito con il rispetto delle regole. Il rito prima del Concilio, o quello dopo il Concilio? Non importa, ciò che conta è la garanzia di un rito preciso, da seguire alla lettera! Dio esiste se lo preghi in ginocchio. Dio esiste se la musica è prodotta dall’organo e le voci sono modulate in gregoriano. Oppure, esiste se si strimpella una chitarra e le parole del canto si comprendono e scaldano il cuore. Dio esiste, basta che stia dentro uno schema preciso.
Gesù sorride. Lui è uscito dallo schema. Era Dio e si è fatto uomo. Era – per usare le bellissime parole della prima lettura – «in cielo» e «di là dal mare», ma si è fatto trovare vicino, «nella tua bocca e nel tuo cuore», così che tu lo possa incontrare in tanti volti umani e non ingessato dentro uno, due o seicento precetti, pur scritti nella Bibbia. Lui ama i tabernacoli in cui lo si va a trovare. Ma nel tabernacolo tu puoi vederlo solo se lo sai vedere lungo la strada. Altrimenti, il tabernacolo che c’è qui in chiesa è come l’armadio. Anzi, rischia di essere un pericoloso specchio in cui ciascuno vede riflesso se stesso, non Dio! Paradossalmente, il problema vero del dottore della legge – così sicuro di essere a posto sul versante dell’amore di Dio – è proprio un problema di fede. Così come per tanti cristiani di oggi, convinti di avere a casa l’armadio giusto e di averlo pieno e chiuso. Lo aprono la domenica per venire qui a Messa, con l’abito in ordine. Poi lo richiudono, assicurandosi solo che Dio stia ancora sul ripiano più in alto. La fede che sta dentro un armadio, pur ordinato e perfetto, è sterile. O la fede innerva la vita, o non serve. Se non sai riconoscere il volto di Dio nell’uomo, il tabernacolo sarà per te sempre… vuoto. Ecco perché la seconda domanda del dottore delle legge è meno perfetta della prima, ma assai più utile: «Chi è vicino a me così che io lo debba amare?». Gesù la ribalta: «A chi ti fai vicino tu con il tuo amore? Chi sei disposto ad amare?». Non è la vicinanza a creare amore, ma è l’amore a creare vicinanza.