VENTICINQUESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C
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Qualcuno lo ha definito «corrotto». C’è chi ha minimizzato e si è accontentato di «infedele». Cercando di imitare lo stesso sguardo di Gesù, io lo chiamo amministratore «astuto».
La storia raccontata in questa parabola di Gesù non è certamente una vicenda edificante, ma descrive una situazione che non doveva essere rara. I pochi proprietari terrieri vivevano all’estero, addirittura a Roma. In Palestrina c’erano amministratori che si facevano i loro affari. Ma poteva capitare che il proprietario lo venisse a sapere. È il nostro caso, e allora il futuro dell’amministratore era rovinato.
Già, ma come finisce la storia? La parabola non lo racconta. Possiamo solamente dire che un comportamento decisamente immorale non termina affatto in modo morale. «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto». È Gesù che loda la sua capacità di usare il cervello, di prendere una decisione radicale per salvare la propria vita. Quindi, Gesù non loda affatto il modo di agire dell’amministratore, ma l’impegno che ci ha messo per raggiungere il suo scopo. E si augura che i suoi discepoli mettano in campo un eguale impegno per il proprio scopo, per assicurarsi l’esistenza nel regno di Dio.
Purtroppo nella realtà non è così: «I figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce», e per l’esistenza terrena c’è una risolutezza ben superiore che per la vita eterna. Quello che questa parabola ci vuole dire lo constatiamo quotidianamente nel nostro mondo, in cui i cristiani non sono da meno degli altri nel perseguire fini terreni – ad esempio che i propri soldi fruttifichino grazie a opportune scelte di investimento – ma poi non hanno tempo, voglia e cervello per conoscere e approfondire il tesoro della Parola di Dio o per occuparsi delle opere di carità.
I detti sulla ricchezza che seguono la parabola invitano ad eseguire la strategia dell’amministratore disonesto per creare legami di amicizia. Gesù è consapevole che della ricchezza si diventa facilmente schiavi, ma se usata nella linea del donare, così che tutti si possa «condurre una vita calma e tranquilla» (vedi seconda lettura), può essere uno strumento di bene.
Il filosofo inglese Francesco Bacone paragonava il denaro al letame: raccolto in un mucchio, dà cattivo odore, ma sparso sul terreno lo rende fertile. Ciò che non si deve fare è tenere il piede in due scarpe e seguire la diffusa logica del compromesso, che è esattamente quel «servire due padroni» da cui Gesù ci mette in guardia. No, bisogna decidersi in modo radicale.
Scrive Don Agostino: “Gesù è consapevole che della ricchezza si diventa facilmente schiavi, ma se usata nella linea del donare…può essere uno strumento di bene.” E’ molto efficace il paragone di Francesco Bacone fra il denaro e il letame. Fabrizio De André, infatti, canta: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.” Tino