Pigiama o abito nuziale?

VENTOTTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A

Presi «ai crocicchi delle strade» e trasformati in «commensali» delle nozze del figlio del re. In questa immagine c’è la descrizione di ciò che noi siamo, «cattivi e buoni» trovati lungo la strada e condotti nella sala delle nozze. «Tutti», dice la parabola. Esatto. Il cristianesimo è per tutti. Perché allora siamo in pochi? La parabola risponde curiosamente anche a questa domanda con quella sua strana appendice, che riguarda uno solo degli invitati, ma che si intuisce interessare un numero certamente più ampio, se al termine viene proposta proprio la contrapposizione tra i molti chiamati e i pochi eletti.

È necessario decifrare il simbolo dell’abito nuziale. Sgombriamo subito il campo da una interpretazione del senso comune (contenuta, ad esempio, nel proverbio «l’abito non fa il monaco»), che considera l’abito come un puro rivestimento esteriore che non cambia la sostanza. Qui, l’abito indica proprio la sostanza vera dell’appartenenza cristiana. L’essere discepoli del Signore Gesù è una questione talmente interiore e profonda, che si vede fuori e diventa per così dire esteriore, nel senso di visibile. Chissà perché in tanti cristiani – noi compresi, sia chiaro – ci ostiniamo a credere che si possa esserlo con i nostri quattro cenci, senza metterci nessun impegno nel confezionare e indossare l’abito adeguato. Mi capita spesso di incrociare quella visione intimistica (e minimale) del cristianesimo in affermazioni del tipo: «Dico sempre una preghiera tutte le sere prima di andare a dormire». Dentro di me penso: «Sì, d’accordo, questo è il pigiama, ma l’abito nuziale dov’è?».

Si è cristiani solo se si è consapevoli di appartenere ad un popolo, alla vita di una comunità. Nella parabola, «l’uomo che non indossava l’abito nuziale» viene allontanato perché è uno che è venuto solo perché è stato costretto, è lì per mangiare e non per condividere una festa con gli altri. Si direbbe che è lì per assolvere un precetto individuale, e quel gesto non cambia nulla della sua vita. Invece, è proprio la vita quotidiana la stoffa umile e insieme preziosa con cui è confezionato l’abito del cristiano.

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3 thoughts on “Pigiama o abito nuziale?

  1. È vero, l’abito da festa può essere in realtà l’abito di ogni giorno che diventa “abito bello” se siamo consapevoli del dono ricevuto, dell’amore in cui ci muoviamo; festa perché in ogni momento siamo chiamati a vivere una vita divina. Quella che io chiamo “la grazia dei giorni feriali”.

  2. Il linguaggio delle parabole entra nell’uomo che ascolta, perchè gli parla di qualcosa che può comprendere, o gli racconta qualcosa che è “paradossalmente” distante da quanto sperimenta quotidianamente. Mi è sempre stato paradossalmente difficile comprendere sino in fondo il minimale intimismo dell’invitato che non ha indossato l’abito nuziale! L’autore del blog con il titolo “pigiama o abito nuziale” scrive, con il linguaggio delle parabole, qualcosa che ho potuto finalmente comprendere: l’abito non indica, come credevo, l’apparenza ma la sostanza vera dell’appartenenza cristiana che, se è interiore e profonda, diviene anche “visibile”. Allora, grazie a don Agostino e ad Anna, ho compreso che l’abito di ogni giorno può divenire abito nuziale se sono disponibile a rispondere alla chiamata di vivere “la grazia dei giorni feriali”. Questa mattina, avendo letto alle nove in punto il blog, la preghiera non l’ho detta come al solito in pigiama, ma (vestito con l’abito di ogni giorno) camminando con un caro amico e non da solo!

  3. Com’è bello pensare all’abito del cristiano tessuto attraverso la trama della vita quotidiana!

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