Al di là delle azioni: le intenzioni

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA – Anno C

Giochiamo con le parole in questa Quaresima. Naturalmente lo facciamo solo per apprendere degli atteggiamenti, per modificare il nostro stile di vita, per cambiare il cuore. In una parola – quella che sta sullo sfondo di tutte le altre che passeremo in rassegna nel tempo quaresimale – per operare la conversione. Le parole di oggi sono «azioni» e «intenzioni», ma ve n’è una terza che dà il titolo, per così dire, alla prima domenica di Quaresima, che è la domenica delle «tentazioni». Il mondo di oggi privilegia l’azione. La nostra è la civiltà del fare. E, da un certo punto di vista, è persino normale che l’azione abbia una importanza preminente. Avete mai sentito la mamma dirvi: «Devi pensare ai compiti»? Vi avrà detto – e anche ripetuto più volte – «Devi fare i compiti!». Se pensi ai compiti, non basta: devi farli. Mamma e papà fanno la spesa, perché, se la immaginassero soltanto, il frigorifero rimarrebbe vuoto… Le azioni sono importanti, anche nell’ottica della Quaresima: il digiuno – non solo dai dolci o dalla carne il venerdì, ma anche dai litigi, dalla televisione sempre accesa, dai videogiochi – l’elemosina e la preghiera devono essere opere quaresimali, azioni compiute e non solo pensate e programmate a tavolino, altrimenti non costituiscono la materia della nostra conversione. L’elemosina, ad esempio, comporta una reale rinuncia a qualcosa, in vista dell’offerta di quanto risparmiato. La preghiera implica un tempo più prolungato del solito sottratto ad altre faccende per poter essere dedicato alla meditazione e all’orazione. Ma – e restiamo proprio sulla preghiera, perché ci aiuta a capire meglio il senso del nostro andare oltre le azioni – non basta pregare tanto tempo – e intendo il tempo misurato dall’orologio – per dire di aver pregato. Anzi, può addirittura succedere che uno preghi a lungo e dica tutto il rosario, ad esempio, ma abbia la testa altrove: gli escono solo le parole di bocca, ma sono dette meccanicamente. Invece, per pregare, le parole devono uscire dal cuore.

Ce lo ha ricordato, con finezza psicologica, lo stesso San Paolo nella lettera alla comunità cristiana di Roma: «Con il cuore si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza». Che cosa è mai questo cuore, in cui si formano le parole e si decidono le azioni? È il centro della nostra vita, proprio come il cuore – il muscolo che abbiamo nel petto – è il centro della nostra vita biologica, perché manda il sangue in tutto il corpo e lo riceve nuovamente, quando è diventato povero di ossigeno, per ridare ad esso il giusto vigore. C’è un cuore che compie la stessa operazione per tutte le nostre azioni, che devono essere rinvigorite dall’ossigeno delle intenzioni. Dal cuore partono le azioni, ma lì è il luogo dove si formano le intenzioni. Un’educazione del cuore deve saper suscitare le intenzioni, le buone intenzioni naturalmente, perché vi sono anche le cattive intenzioni e sono quelle che rendono malvagia un’azione che in apparenza potrebbe sembrare buona. Vi faccio qualche esempio. Se faccio l’elemosina ad una persona, ma la mia intenzione è quella di tirarmela via dagli occhi, perché mi da fastidio, la mia non è una buona azione, o lo è solo a metà. Se faccio un favore alla nonna o alla mamma, solo perché mi aspetto una mancetta o voglio ricattarla poi per ottenere ciò che mi interessa, ebbene, quella non è affatto una buona azione. Così, se il papà mi sgrida severamente e mi fa piangere, ma quello che dice è vero e lo dice con quel tono perché mi vuole bene e vuole il mio bene, ebbene quella che sembra essere il contrario di una carezza è, in realtà, una buona azione.

Guardiamo Gesù nel deserto. Il diavolo lo tenta. Gli propone cose in sé buone, ma l’intenzione è… diabolica, nel vero senso della parola: vuole separarlo da Dio. Gesù risponde con la forza delle intenzioni buone che vengono dal cuore e vince le tentazioni del diavolo. Forse occorrerà che, all’inizio di questa Quaresima, ci battiamo tutti il petto, perché una morale delle intenzioni è più esigente di una semplice morale delle azioni. Ma è l’unica morale che conta. La televisione non educa a questa morale e possiamo farlo solo noi nelle nostre famiglie.

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