TERZA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
Ci sono decisioni che devono essere prese «subito». E questo non significa affatto che, nel momento in cui si decide, tutto sia già chiaro. Significa solo che è necessario dare subito il proprio assenso, perché altrimenti si butta al vento l’occasione della vita, e che, poi, ci sarà il tempo per approfondire ciò che subito si è scelto. La scelta di seguire Gesù è una di queste decisioni che domandano di essere prese «subito», come ci racconta l’evangelista Marco descrivendoci la chiamata dei primi quattro discepoli lungo il mare di Galilea. Sappiamo bene, ad esempio, che il «subito» di Pietro diventerà un «non lo conosco» ripetuto tre volte nelle ore drammatiche dell’arresto di Gesù. Come a dire che, dopo tre anni di vita insieme al Cristo, fu ancora possibile al discepolo della prima ora abbandonare il proprio maestro. La libertà è l’ingrediente fondamentale di ogni sequela. E Gesù ci tiene a lasciare i suoi discepoli in questa fondamentale libertà. Solo, vuole che essa sia subito pronta a seguirlo. Ad una libertà umana che segue Gesù non è risparmiato il rischio della fuga e del rinnegamento, ma è donato il refrigerio del perdono e il conforto della presenza vigile di Gesù, il quale prega perché coloro che lo hanno seguito non si disperdano e non vadano perduti. Questa è la grande verità contenuta in quel «subito» che ci fa un po’ di paura – perché a noi, chiamati di vecchia data dal Signore Gesù, sembra di essere ancora titubanti, come se continuassimo a rimandare la serietà di una risposta definitiva – : se ti metti subito al seguito di Gesù, Egli vigilerà sulle fragilità della tua vita, e ti aiuterà con la sua presenza ad essere forte nei momenti difficili e a recuperare la comunione con Dio nel momento del peccato; se non sei con Lui, quando queste cose ti capiteranno, allora sarai davvero solo. La fortuna di essere discepolo di Gesù non equivale al privilegio di essere perfetto, ma consiste nel dono di essere nella compagnia di Colui che è la Perfezione fatta carne.
Perché è necessario seguire «subito»? Perché «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo» (Mc 1,15): così dice Gesù, inaugurando il suo ministero. San Paolo è ancora più esplicito nella sua lettera alla comunità di Corinto: «Il tempo si è fatto breve… passa infatti la figura di questo mondo» (1 Cor 7,29.31).
«Il tempo è compiuto» significa che la storia ha già raggiunto il suo apice, quando Gesù Cristo è venuto ad abitarla. Per ogni uomo che viene nella storia dopo è «subito» il momento di decidersi per Lui. L’unico modo per vivere un «tempo compiuto» è «subito». E «subito» si traduce temporalmente con «adesso». Adesso è il tempo di convertirsi e di credere al vangelo. Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni ebbero la fortuna di trovarsi all’apice della storia e di intuire che dovevano subito seguire Gesù. Ma quel tempo è uguale al nostro, nonostante siano passati duemila anni. L’urgenza è identica, perché Cristo ha abbreviato il tempo.
«Il tempo si è fatto breve», annuncia, infatti, san Paolo. E rafforza il suo annuncio con alcune indicazioni su cui vale la pena di soffermarsi: «Quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente» (1 Cor 7,29-31). Non dice Paolo: «Siccome Gesù Cristo è venuto, le cose del mondo non hanno più alcun valore». Ma dice: «Siccome Gesù Cristo è venuto, le cose del mondo hanno valore solo in relazione a Lui». Non dice: «Siccome sei cristiano, non sposarti, non gioire, non comprare, non usare dei beni del mondo». Ma dice: «Siccome sei cristiano, c’è un modo di sposarsi, di gioire, di comprare, di usare i beni del mondo che ti contraddistingue». C’è, in una parola, uno «stile di vita» cristiano da incarnare giorno dopo giorno, nella condizione e nella vocazione in cui ciascuno si trova. Si tratta di uno stile che tratta il mondo come la scena di un teatro, in cui tutto è estremamente serio e in cui tutto è drammaticamente provvisorio. Questo è il modo di essere del cristiano.