ASCENSIONE DEL SIGNORE – Anno C
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Questa solennità, inutile negarlo, non ci entusiasma. Non la capiamo questa benedetta ascensione del Signore. Che cosa vuol dire l’evangelista Luca, quando scrive che Gesù «veniva portato su, in cielo»? Suvvia, noi oggi lo sappiamo che il cielo – quello che noi chiamiamo universo – non ha un su e un giù.
E poi chi lo portava su? Un ragazzo qualche anno fa alzò la mano e, una volta interpellato, disse candidamente: «Ma don, lo portava su l’ascensore!». No, non è il cielo astronomico e non è un percorso geografico. Ascendere al cielo è una espressione simbolica con cui gli evangelisti cercano di dirci una cosa importante, che a noi non è capitata ma su cui poniamo il fondamento della nostra fede.
Torniamo al momento in cui il cadavere di Gesù viene tolto dalla croce e deposto nel sepolcro. È veramente morto, e sarebbe iniziata per i suoi discepoli quella fase che noi oggi chiamiamo «elaborazione del lutto»: la persona che amiamo e che ci ama non c’è più e serve tempo per farsene una ragione, e una ragione forse non c’è. Ma la pietra del sepolcro è stata rotolata via e Gesù è nuovamente presente in un modo nuovo e ci vogliono quaranta giorni per elaborare non il lutto ma la risurrezione.
All’inizio prevale la gioia, poi subentra una consapevolezza che fa sorgere domande sul futuro di questa presenza di Gesù. Sappiamo poco di questo periodo unico. Ma ora – questa è l’ascensione – questa condizione per così dire privilegiata può terminare, perché gli apostoli hanno per così dire interiorizzato la presenza di Gesù. Non hanno interiorizzato un messaggio fatto di belle parole e di ricordi. Hanno interiorizzato una presenza umana andata oltre la morte, una presenza umana che porta nel suo corpo i segni della croce. È come se i discepoli fossero finalmente pronti a lasciarlo andare, Gesù, perché se lo portavano dentro.
Essi se lo portavano dentro e lui veniva portato su. Questo avvenimento – che è l’Ascensione – resta totalmente fuori dalla nostra esperienza umana. Semmai noi lo riportiamo giù in terra, il Signore crocifisso e risorto, perché sia il capo di quel corpo di cui noi siamo le membra.
Scrive con molta lucidità Don Agostino: “Questo avvenimento – che è l’Ascensione – resta totalmente fuori dalla nostra esperienza umana. Semmai noi lo riportiamo giù in terra, il Signore crocifisso e risorto, perché sia il capo di quel corpo di cui noi siamo le membra.” E’ la festa dell’ umanità di Gesù in cielo, ma è soprattutto l’ occasione per riflettere sul mistero di un’assenza solo apparente, perché lui è sempre con noi (fidiamoci, è sua parola) nel suo corpo che è la Chiesa. Tino
La festa dell’Ascensione ( accadimento misterioso sulle cui modalità è inutile indagare) ci invita a ” salire” , ad avere uno sguardo ampio come chi scruta le cose dall” alto e vede un insieme che sfugge se immersi nelle piccolezze. Salire è un verbo caro a i pellegrini dei salmi, ai mistici medievali : Ascendere= ascesi. Si sale spiritualmente acquistando uno sguardo divino. Poi si scende ma ogni fatto acquista nuovo significato. E la vita appare più bella anche se difficoltosa.