VENTICINQUESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

«Essi però non capivano». Così viene detto dei discepoli lungo la strada nei confronti della rivelazione che Gesù fa del suo destino di morte e risurrezione. Più tardi, quando sono seduti in casa a Cafarnao, l’evangelista – quasi fosse un narratore esterno – svela il perché non capivano: «Per la strada avevano discusso tra loro chi fosse il più grande».
Non capivano Gesù perché i loro pensieri e le loro parole, la loro preoccupazione era altrove. Gesù svelava ai discepoli uno strano percorso in cui il Messia si faceva piccolo, ed essi invece, proprio da discepoli di un Messia – immaginato però come grande – si stavano già spartendo i posti d’onore. È un particolare importante per noi che, come comunità dei discepoli di Gesù, siamo su quella stessa strada.
È sufficiente camminare con Gesù dentro la storia degli uomini? Si direbbe di no. Forse è drammatico doverlo riconoscere, eppure è così: si può essere sulla stessa via di Gesù, percorrerla insieme e vivere però in due mondi diversi. Quante volte le nostre comunità cristiane sono invischiate in quella stessa discussione che continua a tenerci lontani dal mondo di Gesù: chi è il più grande, chi è il più bravo, chi è il più performante nel mondo di oggi? È curioso che l’essere sulla stessa strada in greco suoni «sinodo». Essere la Chiesa di Gesù, una Chiesa sinodale significa, però, essere in comunione con la logica di Gesù, e non basta camminare sulla stessa strada o ritrovarsi nello stesso luogo.
Ecco perché sono decisive le parole dette da Gesù ai discepoli “smascherati” che invece «tacevano»: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Intanto «di tutti», cioè senza privilegi o esclusioni, senza particolarismi e con una disponibilità piena. Ma poi è giusto sottolineare che la risposta di Gesù a quella discussione dei discepoli su chi sia il più grande sposta decisamente la questione dal piano dell’essere a quello dell’agire. Essere ultimo si vede dall’agire come servo e l’agire come servo non è una condizione imposta ma una libera decisione. Il cristiano è uno che, proprio per seguire Gesù, si fa servitore di tutti.
Vocazione prima e vera del cristiano: essere come Gesù, essere di Gesù, servire.
Molteplici le sollecitazioni che riceviamo dalla vita stessa, dall’essere famiglia e comunità.
L’umiltà vera non è l’pocrita ” io non sono niente” ma il realistico ( terra a terra) sono (faccio) quello che è utile ( serve, appunto) in quel momento, in quella situazione.
Quello che viene richiesto.
Scrive Don Agostino: “Essere ultimo si vede dall’agire come servo e l’agire come servo non è una condizione imposta ma una libera decisione. Il cristiano è uno che, proprio per seguire Gesù, si fa servitore di tutti.” Facciamo quello che serve in quel momento nella famiglia, nella comunità: quello che ci viene richiesto. Agiamo come servi sinceri, con libera decisione, senza l’ipocrisia tipica di questo momento storico… Tino