NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO – Anno A

Dopo due parabole – quella delle vergini e quella dei talenti – Gesù ci regala un grande affresco. Il titolo che gli è stato dato – giudizio finale – rischia di sviarci.
In effetti la scena vede il Cristo seduto su un trono, intento a separare due gruppi di umanità destinati a popolare quelli che la tradizione ha poi chiamato paradiso e inferno. Una scena di definitività, insomma, che ci porta al momento in cui sarà posto un termine alla instabilità della storia. Eppure lo scopo di questo affresco non è tanto quello di informarci su come sarà la fine, ma quello di darci una dritta su come vivere adesso.
Anche le due parabole avevano lo stesso intendimento: dirci che l’olio bisogna procurarselo prima che lo sposo arrivi e che i talenti vanno fatti trovare moltiplicati quando il padrone torna a regolare i conti. La scenografia abilmente ci porta alla fine della storia con un re seduto a giudicare, ma è solo un’immagine per dirci che il giudizio sarà soltanto lo svelamento dei comportamenti dell’oggi. Infatti, ciò che accomuna i due gruppi dell’umanità è la meraviglia per non aver riconosciuto Gesù nel povero bisognoso di un aiuto. Infatti, «Quando mai ti abbiamo visto…?» lo domandano sia i benedetti che i maledetti. Solo che i primi hanno fatto la carità all’uomo in cui hanno riconosciuto comunque un fratello da aiutare, mentre gli altri hanno chiuso gli occhi e la porta.
Si direbbe che paradossalmente è la fratellanza a generare la figliolanza. È la solidarietà umana a costituire la trama della carità. Con una sola parola, potremmo dire che saremo giudicati sull’amore. Eppure questa parola – che noi usiamo sino alla nausea – nel racconto manca. Come a ricordarci che l’amore non è una parola da dire all’altro – troppo comodo, troppo facile, persino scontato – ma è una cosa che si fa all’altro nella concretezza dell’oggi. Sarebbe stato molto più poetico trovare scritto: «Avevo fame e mi avete amato…». E noi ci saremmo subito impegnati a versare una lacrima e ad amare a distanza, con la logica dei buoni sentimenti, che entusiasma anche il mondo. No, l’amore c’è, ma sparisce come parola dentro la concretezza dei giorni.
Manca la parola «amore»…Scrive don Agostino: “No, l’amore c’è, ma sparisce come parola dentro la concretezza dei giorni.” Noi usiamo, nella nostra comunità, troppo spesso la parola “amore”; la usiamo in modo astratto, teorico, stucchevole. No! E’ l’essere concreti ed umili nella solidarietà fraterna che ci inserisce nella trama della carità…
È vero, manca la parola amore. Eppure vien spontaneo pensare che ciò che conta per Gesù è proprio l’ amore anche se parla di pezzi di pane e di bicchieri d’ acqua. Ma la vita ci insegna che sono i gesti di cura che esprimono l’ affetto più vero. Le smancerie lasciano il tempo che trovano, anche le parole se rimangono vuote. L ‘ amore vero si esprime nella concretezza, spesso faticosa, dei giorni. Con fedeltà, con costanza. Non ogni tanto, quando mi viene in mente, quando non mi costa troppo.