Impariamo dall’incredulità di Tommaso

Varenna: Villa Monastero (Foto AC)

Nel famoso dipinto del Caravaggio Tommaso infila il suo dito nella piaga aperta dal colpo di lancia sul fianco di Gesù. Si direbbe che il pittore ha ritratto il proposito ostinato di Tommaso: «Se non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

E ha rappresentato anche l’invito a lui rivolto da Gesù: «Tendi la tua mano e mettila nel mio fianco». Ma quel gesto non è avvenuto. A Tommaso bastò essere presente e vedere, e non toccò se non con gli occhi della fede. Tanto che sulla sua bocca ritroviamo la professione di fede più limpida e profonda di tutti i Vangeli: «Mio Signore e mio Dio!».

L’incredulità puntigliosa di Tommaso fu solo il trampolino di lancio per la sua fede così personalizzata. Egli in fondo voleva essere trattato come gli altri apostoli a cui fu dato di vedere per credere. Perché solo lui doveva credere sulla loro parola senza aver condiviso la loro visione? E in questo modo, tra gli apostoli, Tommaso – che noi abbiamo malamente trasformato nell’icona dell’incredulo – è il più utile per noi. A lui non basta un Gesù risorto raccontato, la Pasqua per lui non si limita alla conoscenza di una bella notizia. Tommaso vuole fare un incontro, vuole vedere con gli occhi e toccare con mano, la Pasqua per lui è un’esperienza personale di vita. Tommaso, più ancora degli altri, costituisce allora il fondamento storico della fede della Chiesa di ogni tempo, che è una fede apostolica, che si fida cioè della testimonianza degli apostoli.

E paradossalmente noi oggi abbiamo da imparare più dall’incredulità di Tommaso che dalla sua fede. Dobbiamo imitarne l’ostinazione di voler vedere e toccare: non più il corpo del Risorto, che è fuori dalla nostra portata e che raggiungiamo solo attraverso la fede trasmessaci dagli apostoli; ma il corpo della Chiesa, che continua ad essere dentro la storia il corpo crocifisso e risorto di Cristo. E questo corpo di Cristo che vive nella Chiesa dobbiamo incontrarlo noi per primi, così da mostrarlo agli uomini e alle donne del nostro tempo. Essi ci provocano come Tommaso: «Se non vedo, io non credo». La nostra risposta non siano parole di circostanza, ma una presenza viva.

One thought on “Impariamo dall’incredulità di Tommaso

  1. Scrive Don Agostino: “Tommaso vuole fare un incontro, vuole vedere con gli occhi e toccare con mano, la Pasqua per lui è un’esperienza personale di vita.” Noi non possiamo fare la stessa esperienza di Tommaso; la nostra fede è una fede apostolica basata sulla testimonianza degli apostoli, ma possiamo “vedere e toccare” il corpo di Cristo che vive nella Chiesa. Incontriamolo per mostrarlo a parenti, amici, colleghi di lavoro, agli uomini e alle donne del nostro tempo che hanno tanto bisogno di Lui…
    TINO

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