TRENTATREESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A

La parabola dei talenti si capisce nel colloquio drammatico tra il padrone e il servo, che aveva ricevuto un talento e lo aveva sotterrato e ora lo restituiva.
E, se non stiamo attenti, le parole del padrone ci possono avviare ad una interpretazione distorta, quasi ci trovassimo di fronte ad una esaltazione del capitalismo nudo e crudo in cui il valore della persona si misura con la quantità di danaro che ciascuno è riuscito ad accumulare. Ma dimenticheremmo che questa è solo l’immagine usata da Gesù per dire qualcosa di importante ai suoi discepoli.
Che cosa sanno essi di Dio? Come se lo rappresentano? È questa la domanda a cui la parabola dei talenti, con la sua trama paradossale, vuole rispondere. Se sanno di Dio quello che il terzo servo sa del suo padrone, i discepoli di Gesù sono fuori strada. «Signore, so che sei un uomo duro!», così esordisce il terzo servo. Tutto sbagliato. Gesù non è un uomo duro, e Gesù è tutto quello che sappiamo di Dio, perché chi ha visto lui ha visto il Padre. Amico e non padrone, piccolo tra i piccoli, attore di una potenza capovolta che avrà il suo massimo splendore sulla croce: questo è Gesù e questo è Dio.
Se andiamo ad ascoltare anche gli altri due colloqui con il primo e il secondo servo, la parabola svela più chiaramente il suo senso. Il padrone dice la stessa cosa sia a chi gli presenta dieci talenti sia a chi gliene consegna quattro: parla egualmente di una fedeltà nel «poco» (per cifre che invece sono spropositate e quasi inimmaginabili) e promette un potere su «molto», che però poi si riduce ad un semplice «prendi parte alla gioia del tuo padrone». Fuori dall’immagine, le parole di Dio sono queste: «O uomo, hai fatto circolare l’amore che ti ho donato e lo hai moltiplicato donandolo a tua volta, secondo le tue capacità; ebbene, sappi che, trafficando l’amore, tu condividi la mia stessa vita e prendi parte alla mia gioia». Per sentirsi dire queste parole, bisogna evitare, come il terzo servo, di tenere per sé l’amore ricevuto e restituirlo intatto. Ogni sera dovremmo presentarci a Dio offrendo il poco che siamo, dicendo però: «Io so che tu, o Dio, sei un immenso traffico di amore!».
Ma come si fa ad avere paura di un” padrone” come Dio? La paura è ciò che blocca spesso la nostra vita. Che ci rende gretti, esitanti, sospettosi. Dio invece, si fida di noi: ci affida suo figlio, le cose, il tempo, il suo amore. Si consegna a noi indifeso, a mani legate. Ci chiede di non chiudere i suoi doni in un cassetto, ci chiede di essere a nostra volta doni. Ci insegna che solo donando si moltiplica.
Noi spesso dimentichiamo che l’amore di Dio è un dono e lo tratteniamo per noi. No! Si deve attivare una circolazione di amore che non includa solo gli amici sinceri, ma anche chi ci vuole male e ci stanca…