Storia di terreni vicini

QUINDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A

Sacun – Foto AC

Come è sprecone questo seminatore! Certamente ha fatto di tutto perché il seme attecchisse e portasse frutto. L’ha gettato ovunque.

I tre terreni improduttivi, dunque, non rappresentano un errore del seminatore ma la grettezza di chi ha ricevuto la Parola e ha rinunciato a farla fruttificare. Sono tre tipi di cristiani (e di cristianesimo).

Ci sono i cristiani della strada: coloro che si sono convinti che il Vangelo non è più adatto al nostro tempo, e l’essere cristiani è un impaccio se si vuole far carriera in questo mondo. Poi ci sono i cristiani dei sassi: coloro che, sempre aperti alle novità, sono però allergici alle radici; sanno commuoversi in qualche occasione particolare, ma guai a proporre loro un impegno duraturo che cerchi di trasformare l’emozione in responsabilità. Infine ci sono i cristiani dei rovi: coloro che a un certo punto della vita hanno tolto l’ossigeno alla fede, l’hanno svuotata della sua interiorità, e hanno finito per credere che vi sono cose più importanti per cui vale la pena di vivere.

Esiste questo cristianesimo rinunciatario e asfittico? Eccome se esiste, e qualche volta abbiamo anche la sensazione di farne parte. Ma dove sta il terreno buono, quello che ascolta la Parola e la comprende e dà frutto? È il terreno che sta pochi metri oltre la strada, vicino ai sassi, attanagliato dai rovi. È il terreno che ha saputo, però, evitare di essere strada, che ha lasciato spazio alle radici, che ha estirpato i rovi. Sono i cristiani che hanno fatto i conti con le tentazioni, con le preoccupazioni, con le paure che hanno tutti gli uomini, che magari hanno avvertito di essere incostanti, si sono sentiti soffocare da mille cose e sono giunti a sera svuotati e infruttuosi. Ma hanno lottato perché il seme della Parola cadesse in terra buona.

Verrebbe da dire che terreno buono non si è, ma lo si diventa. E c’è un unico vero fattore determinante: ciò che conta davvero è trovarsi nel raggio ampio entro il quale il seminatore generoso getta la semente della Parola. Anche perché – la parabola non lo dice ma è così – un terreno buono, onesto e pacifico, ma senza seme, non produce proprio nulla. È un rischio anche questo, e forse non è il meno comune oggi.

2 thoughts on “Storia di terreni vicini

  1. STORIA DI TERRENI VICINI: Strada, sassi, rovi… Scrive però, a fine omelìa, Don Agostino: “Verrebbe da dire che terreno buono non si è, ma lo si diventa.” E’ la semente della Parola che fa diventare buono il terreno; oggi siamo in molti a cercare di essere buoni, onesti e pacifici, ma ciò non basta: se non ascoltiamo la Parola rischiamo di rimanere infruttuosi…

  2. Magnifico. Per produrre frutto buono e abbondante, ci vuole un terreno nutriente e accogliente ( che sa rigenerarsi) e ci vuole il seme. Né il terreno buono né il seme da soli, danno frutto. Questa parabola è la mirabile sintesi della storia della salvezza: Dio e gli uomini alleati, uniti in Cristo che è Dio e uomo. Dio non ci salva se noi non aderiamo al suo sogno. Santa Caterina, se ricordo giusto, spiegava bene questo col racconto del condannato a morte che ottiene salvezza grazie allo spicciolo dimenticato in tasca.

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