Giobbe, Paolo e Gesù Cristo

QUINTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Santa Messa celebrata sotto il Crocifisso posto sulla cima del Rasciesa di Fuori in Val Gardena

Santa Messa celebrata sotto il Crocifisso posto sulla cima del Rasciesa di Fuori in Val Gardena

Giobbe, l’uomo giusto colpito dalla sventura, l’uomo che osa lamentarsi con Dio senza rifiutarlo ma quasi guardandogli negli occhi, ci rappresenta sino in fondo nelle nostre fatiche quotidiane. Egli usa l’immagine dello schiavo che sospira l’ombra: c’è un desiderio di protezione e di pace definitiva in ogni uomo e donna che viva sino in fondo l’avventura della vita. Vorremmo essere accolti da un’ombra capace di regalare un po’ di vera libertà alle nostre schiavitù. Giobbe trova il coraggio di dire al Signore il suo sconforto. Quella di Giobbe può essere considerata una preghiera? Certamente lo è, e da Dio Giobbe si aspetta una risposta, che gli giungerà in modo inaspettato e lo porterà ad approfondire la sua riflessione e a modificare, in un certo senso, l’idea che egli si era fatto di Dio.

Paolo ci aiuta ad andare oltre Giobbe. Egli, scrivendo ai cristiani di Corinto, usa un’immagine che sembra ribaltare quella utilizzata da Giobbe. Egli non è uno schiavo che sospira l’ombra, ma è uno che, «pur essendo libero da tutti», decide di farsi «servo di tutti per guadagnarne il maggior numero». Che cosa vuole dire l’Apostolo? Fondamentalmente Paolo non mette se stesso al centro, ma un Altro, che gli ha affidato un incarico che si è trasformato nella sua vita stessa. Egli non è apostolo di sua iniziativa (e questo gli darebbe il diritto a ricevere una ricompensa) ma è apostolo per una missione che è diventata una necessità della sua vita. La misura di Paolo è fuori di lui, per cui anche lo sconforto e la delusione – e Paolo ne ha provate tante! – diventano una molla per andare oltre. A Paolo interessa solo l’essere uno strumento di Gesù Cristo, uno strumento del Vangelo. Bellissima l’espressione della sua lettera: «Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io». Questo significa che Giobbe ha torto e Paolo ha ragione? Affatto. Chissà quante volte Paolo ha avuto in cuore le parole di sconforto di Giobbe e ne ha fatto la sua preghiera di uomo appassionato e, quindi, debole e soggetto anche più di altri ai cambiamenti repentini delle emozioni. Ciò che differenzia Giobbe da Paolo è solo Gesù Cristo. Egli è presente nella preghiera di Giobbe come un assente desiderato, mentre è il motore dell’azione apostolica di Paolo. Lo schiavo Giobbe cercava l’ombra di Gesù, mentre Paolo, reso libero da Gesù, poteva farsi schiavo di tutti pur di portarli anch’essi all’ombra di Cristo. La pagina evangelica ci mostra una giornata intera di Gesù a Cafarnao. Essa era iniziata con la predicazione autorevole nella sinagoga e con la liberazione di un poveretto posseduto da uno spirito impuro. Ora Gesù si reca nella casa di Simone, guarisce la suocera e la mette in condizione di poter servire. Poi, al tramonto, riunisce l’intera città davanti alla porta di quella casa: è l’immagine bellissima di quello che è la Chiesa, una casa umana con la porta aperta sul mondo per accogliere e curare ogni infermità del corpo e dello spirito. Una giornata intensa, un’agenda piena di impegni. Dove sta il segreto di tanta energia? L’evangelista Marco lascia in fondo al racconto ciò che ne è il vero fondamento: «Al mattino presto Gesù si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava». Gesù trova nella preghiera quel contatto con il Padre che gli permette poi di essere educatore autorevole, capace anche di guarire e di scacciare i demoni. Nella preghiera Gesù recupera la forza per affrontare una giornata faticosa. Paolo, che è discepolo di Gesù, si pone nel medesimo solco, e in questo solco c’è il superamento della preghiera di Giobbe, che era ancora una preghiera senza Gesù Cristo, anche se ne esprimeva il desiderio.

Vuol dire, forse, che la preghiera a Gesù rende il cristiano immune da ogni fatica? Affatto. Non gliene toglie neanche un poco, ma semmai le dà una direzione. Ecco perché la Parola di Dio oggi vuole stimolarci a mettere il seme della preghiera in ciascuna delle nostre giornate (e non solo la domenica qui in chiesa!). La preghiera è un seme: possono essere anche cinque minuti sottratti alla frenesia delle nostre occupazioni, un Padrenostro detto insieme marito e moglie guardandosi negli occhi. Ma guai se manca, perché torneremmo ancora più indietro di Giobbe e non gusteremmo mai la libertà di Paolo.

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