«Francesco non ha una strategia comunicativa: è semplicemente se stesso. Perciò va marcato a vista». Sono parole che leggo sulla rivista Credere del 10 novembre 2013, e a pronunciarle è padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica – che, a dire il vero, sembra essere proprio colui che maggiormente negli ultimi tempi ha guidato la strategia della comunicazione vaticana sui nuovi media (vedi i twitt del Papa). Sorprende questa affermazione – pur redatta nel genere letterario dell’intervista – da parte di una delle persone – gesuita pure lui – più vicine a papa Francesco. Sorprende alla luce anche della cancellazione sul sito della Santa Sede (http://www.vatican.va) – a partire da ieri, 15 novembre – del testo del colloquio tra papa Francesco e il fondatore del quotidiano Repubblica, Eugenio Scalfari. Sorprende non tanto che questo testo sia stato tolto, ma che vi sia stato messo e che sia rimasto per tanto tempo disponibile con la patente di autorevolezza del sito che lo ospitava. Trattandosi di un incontro privato, la cui trascrizione non è stata rivista da una delle due parti – papa Francesco – sarebbe stato opportuno lasciare che solo il quotidiano Repubblica lo pubblicasse, prendendosi la responsabilità di quanto virgolettava al Papa e, anzi, permettendosi di “correggere” o esplicitare alcune affermazioni del Papa stesso che potevano oggettivamente prestarsi ad ambigue interpretazioni. Così non è stato. Si è detto che il testo non era stato rivisto, ma lo si è ospitato sul sito ufficiale della Santa Sede. Ora lo si è tolto. Il portavoce vaticano padre Federico Lombardi – gesuita anche lui – ha detto che «il testo è attendibile nel suo senso generale ma non nelle singole formulazioni virgolettate, non essendo stato rivisto parola per parola» e che «togliendolo si è fatta una messa a punto della natura di quel testo. C’era qualche equivoco e dibattito sul suo valore».
La disinvoltura della struttura comunicativa vaticana – soprattutto dopo che è tramontata l’era di Joaquin Navarro-Valls – aveva già creato non pochi problemi a papa Benedetto XVI, che una prudenza comunicativa se non una strategia ce l’aveva sicuramente, figurarsi ora con papa Francesco che – a detta di un suo autorevole interprete, a lui molto vicino, padre Spadaro appunto – una strategia comunicativa non ce l’ha. Ricordo l’intervista in aereo sul preservativo, mentre papa Benedetto era diretto in Africa, con quell’inopinato cambiamento tra quanto detto dal Papa e il testo diffuso dalla Santa Sede. Ricordo la vicenda del vescovo lefebvriano negazionista Richard Williamson, sfuggita all’establishment comunicativo della Santa Sede. O la vicenda del discorso di Ratisbona, diffuso senza contestualizzare e spiegare il delicato riferimento del Papa e senza sospettare l’uso distorto che se ne poteva fare da parte del mondo islamico.
Scelte imprudenti, visto che quello stesso mondo mediatico, disposto a perdonare tutto a Giovanni Paolo II, stava invece con il fucile spianato nei confronti di papa Ratzinger. Ora, con papa Francesco è chiaro che le interviste a braccio sull’aereo (come quella del viaggio di ritorno dal Brasile, l’estate scorsa) o le uscite pirotecniche di qualche omelia di Santa Marta o le risposte a quel furbastro di Scalfari (che una strategia comunicativa ha dimostrato di avercela, eccome) sono un invito a nozze per la comunicazione drogata dei nostri tempi. È vero, certo giornalismo un po’ disinvolto ha trasformato i quotidiani in carta straccia, per cui il giorno dopo nessuno si ricorda più che cosa c’era scritto il giorno prima, ma, ai fini dell’impatto che una parola del Papa ha sull’opinione pubblica, poco conta che quella parola non goda di autorevolezza di Magistero: la gente comune non sa nulla delle disquisizioni dei teologi o dei giuristi circa che cosa è Magistero e che cosa non lo è, e si fida ciecamente di un virgolettato del papa – e di papa Bergoglio in particolare – soprattutto se il tono è leggero ed il linguaggio piano e comprensibile.
Quindi ha forse ragione padre Spadaro, dicendo che questo Papa «va marcato a vista». Già, ma come? E quale terzino si prende la briga di marcare un simile centravanti? Mi pare, però, di poter aggiungere che la strategia comunicativa non manchi solo a lui che «idee chiare in testa le ha – sono sempre parole del direttore di Civiltà Cattolica – ma vivono di una dinamica che non appartiene a lui, bensì al Signore», ma manchi soprattutto a chi deve dirigere e gestire la macchina comunicativa della Santa Sede, che invece deve necessariamente possedere e maneggiare la dinamica della comunicazione più che quella del Signore. Se anche costoro devono essere marcati a vista, la cosa si fa complessa. È come una partita in cui manca l’allenatore in panchina, e i difensori sono costretti a marcare i propri attaccanti. È una partita persa in partenza.
Per la serie “il lupo perde il pelo, ma non il vizio”….