Corsivo. Baumgartner e il suo “vuoto” più veloce del suono…

Ve lo immaginate un uomo che corre più veloce del suono, a 1342 km all’ora? I pendolari che da Como vanno ogni giorno a Milano, lasciando sull’asfalto ore di coda, impazienza e imprecazioni, esulterebbero all’idea che 39 km si possano percorrere in 9 minuti? Sto vaneggiando, lo so. E mi spiego subito. L’impresa dell’austriaco Felix Baumgartner, che si è lanciato da trentanovemila metri battendo ogni record, non serve all’umanità. Lo ha detto il protagonista dell’impresa: «Ho conquistato il mio sogno». Giusto il suo sogno, e nulla più. Liberissimo di farlo, visto che ha trovato chi lo ha generosamente sponsorizzato per una impresa che finirà nel guinness  dei primati. Ma io trovo il coraggio di domandarmi: a che pro? Serve a qualcuno sulla terra tranne che al nostro Felix (da ieri ancora… più felice e forse anche un po’ più ricco e famoso)? Conosco già tre obiezioni a questa mia intollerabile spocchia snobistica, un po’ pantofolaia.

Intanto, l’impresa del “pilota” austriaco s’inserisce a pieno titolo nell’intraprendenza dell’uomo che cerca per natura di superare ogni limite… umano, per dimostrare che «fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Infatti, la mia domanda è: quale conoscenza? Forse che l’uomo sta cercando di muoversi nell’universo a testa in giù dall’altezza di quaranta chilometri? Forse che il folle salto è un prototipo di qualche nuova maniera di viaggiare? Vi è in questo esperimento unico qualche conoscenza che può arricchire il patrimonio culturale dell’umanità o aiutarla a risolvere qualche problema o alleviare qualche malattia? Ma poi: quale virtù c’è mai in questo arrischio totale della propria vita? Quale scopo oltre quello di realizzare un sogno? Sembra che Baumgartner abbia dichiarato: «Sono un professionista del rischio». Che cos’è? Un nuovo mestiere da proporre ai giovani per sopperire alla crisi occupazionale? Quale vera educazione c’è nel professare il rischio fine a se stesso? Sono domande che io mi faccio, senza alcun pudore.

Poi, c’è il dio sport. Un’impresa simile è un’impresa sportiva, e, quindi, non si discute affatto. Mamme e papà, attenti: il vostro bambino forse vi chiederà di praticare questo sport, magari con il permesso di cominciare con qualche esercizio dal balcone di casa o dall’albero in giardino. Come dirgli di no? Qualche genitore, stanco di litigare ai bordi del campo di calcio, convintosi che ormai il pallone è sporco come la politica, si farà convincere dal sogno di avere un novello Icaro in casa e lo iscriverà alla scuola degli uomini volanti… Esagero, lo so. Eppure, lo sport – di per sé strumento educativo di prim’ordine – mi pare sovvertito nella sua stessa natura, e da mezzo per raggiungere un equilibrio di benessere e salute si è trasformato in fine che giustifica ogni mezzo. Un dio, appunto, che viene prima di tutto e crede di poter dare senso a tutto. Non è così, e i danni, purtroppo, di questa confusione tra mezzi e fini della vita, si vede in tanti ragazzi e giovani, inebetiti dallo sport come da una droga considerata buona.

Infine, la terza obiezione potrebbe essere sul terreno della filosofia. Domandarsi per ogni cosa che l’uomo fa «a che cosa serve» non è forse professare l’utilitarismo e il pragmatismo? Non vi è gratuità nell’agire umano, che spesso non ha un risultato immediato e materiale da raggiungere? Certo che è così, anzi la gratuità è la molla del vivere. Eppure dietro ad un ingenuo appello all’agire senza fini, quasi fosse naturalmente buono, si nasconde un profondo egoismo. C’è in questo equivoco della gratuità l’essenza della filosofia individualistica del nostro mondo: tutto ciò che si può fare, non è solo lecito ma bisogna cercare di farlo, ed è pure buono. Con un involucro ideale postmoderno, c’è qui il mito dell’uomo che sta sulla strada della vita – on the road, nella versione di Kerouac – senza una meta, non più pellegrino ma semplice viandante. La vera gratuità, invece, nasce proprio sul terreno dei fini. Chi agisce gratuitamente, magari non ottiene risultati, ma persegue una meta. Il vero pragmatismo sta in un fare che ha come unica meta la propria gratificazione. Il vero utilitarismo è quello che persegue l’utile esclusivo del “secondo me”.

«Ho conquistato il mio sogno», ha detto Felix Baumgartner. Esatto: il suo, solo il suo. La vera gratuità che serve all’uomo – e serve l’uomo – è la bellezza, e l’uomo la raggiunge salendo a testa alta – magari su un più prosaico e meno eroico sentiero di montagna – e non gettandosi a testa in giù in un “vuoto” che è persino più veloce del suono…

5 thoughts on “Corsivo. Baumgartner e il suo “vuoto” più veloce del suono…

  1. Immagino che la prima e la terza obiezione possano essere state (più o meno) le stesse obiezioni che i loro contemporanei mossero ai fratelli Wright : volare ? Ma se Dio avesse voluto farlo volare avrebbe dotato l’uomo di ali !
    Può essere che, o sia in errore o stia analizzando l’evento da una diversa prospettiva, ma non caricherei di troppe ‘aspettative’ spirituali/morali un’impresa (per me lo è!), anche egoista, più da guiness dei primati che sportiva…

  2. Caro don Clerici,
    confivido tutti i suoi dubbi e le sue perplessità, ma mi domando se la soluzione a questi atti inutili non sia il SILENZIO. Forse non se ne dovrebbe parlare e tutto cadrebbe nel dimenticatoio in pochi giorni (salvo forse per chi ha posto a disposizione di Felix i mezzi per salire a 39 Km ecc.). Quanto all’accenno ai fratelli Wright fatto dal Sig. M. Cifani beh! diciamo che il loro obbiettivo non era solo un sogno (eventualmente condiviso da un certo signor Leonardo) e direi che la sua realizzazione ha dato il via allo sviluppo del progresso e della tecnolagia più veloce di quanto secoli prima non avessero dato.

  3. E’ comunque un’impresa, un’avventura, bollata come stupida da alcuni, interessante invece per altri, seguita in diretta da milioni di spettatori (sette milioni quelli che l’hanno vista via internet, anche questa una novità interessante; piu’ le dirette Tv).
    Decine di milioni di spettatori ottusi, qualcuno penserà (forse con un pizzico, ma neanche troppo piccolo, di superbia).
    Chiaramente è stata una grande operazione mediatica commerciale, più che scientifica o sportiva o filosofica o chissà cos’altro (qualcuno e’ stato cosi’ ingenuo da avere dubbi?), ma che come tale ha prodotto lavoro, oltre che (si spera) profitti, ed intrattenimento.
    Chissà perchè le operazioni commerciali vengono dipinte come fossero opera del demonio, specialmente se hanno successo. Eppure Felix Baumgartner non ha fatto del male a nessuno, cadendo nel vuoto.
    E lo spettacolo c’è stato, e anche bello ed emozionante (per chi l’ha visto, e in diretta…). E’ stata anche l’occasione di imparare qualcosa in più sul nostro pianeta e anche su alcune tecnologie poco conosciute…
    Non è chiaro quindi perchè un’impresa del genere debba essere condannata come perfettamente inutile o addirittura da censurare, siamo allo stesso livello di chi condanna come dispendiosi e inutili i viaggi del Papa…
    E’ la solita storia, ogni impresa umana (piccola o grande) ha avuto e avrà i suoi denigratori… di certo a fare nulla, invece, non si sarà mai criticati.

  4. Ciao Agostino, sono passato molto volentieri dopo aver letto il tuo commento al mio articolo per Opinioni in Contropiede (http://www.contropiede.net/2012/10/15/baumgartner-39-km-di-salto-nellinutilita/). Come dicevi tu, siamo assolutamente d’accordo! C’è poco da dire: fare quello che ha fatto Felix è sicuramente un’impresa, nessuno lo nega, ma dopo averlo fatto, noi, che cosa abbiamo in più? Magari tra vent’anni, trent’anni, buttarsi dalla stratosfera sarà un nuovo sport, ai livelli di paracuditismo o volare con il deltaplano, ma non c’è stata scoperta, non c’è stato alcuno spostamento della linea della cucltura umana. Si, forse ha spostato qualche centimetro più in là la linea di confine tra il possibile e l’impossibile (solo qualche cm però, ricordiamoci di Kittinger nel 1960….), ma penso che l’impresa di Felix vada vista ed analizzata per ciò che sia: il folle salto di un uomo che, per edonismo, voleva farlo, punto. Nessuno condanna o censura l’impresa, credo che Agostino sia solo d’accordo con me nel dire che santificare un uomo che ha fatto qualcosa che voleva fare, beh, sia un pelo esagerato. Stimiamolo, ammiriamolo, congrutaliamoci con lui, ma per favore, non ringraziamolo. Ringraziamo i nostri genitori, ringraziamo chi ci passa il sale, il nostro professore, ma non Felix.

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