Normalità e gratitudine

VENTOTTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C

Verso il ghiacciaio del MorterascCi sono due parole che vanno a braccetto nel messaggio che la Parola di Dio vuole lasciarci nel cuore oggi: normalità e gratitudine. Entrambe sono parole o dimenticate o manipolate dal nostro mondo. La normalità è diventata il modo per far passare la legge selvaggia dell’autonomia dell’individuo. Di ognuno si dice che «è normale» – «era un bravo ragazzo, un ragazzo normale, come tutti», lo si sente spesso anche quando il «bravo ragazzo» si è macchiato di un orrendo delitto – perché si tende a negare che vi sia la relazione con una mappa di valori che valga per tutti, a cui la normalità debba fare riferimento. Ognuno è norma a se stesso, per cui ognuno è normale. La gratitudine è valore sparito dalla circolazione, annullato dalla prepotenza con cui s’impone la consuetudine del «tutto dovuto» – che va a braccetto con il «tutto lecito» – per cui non c’è nulla di cui si debba ringraziare: i figli sono abituati al piatto pieno e alla mancetta e, appena raggiungono l’età, si sentono in diritto di gestire autonomamente il loro tempo, quello del giorno e soprattutto quello della notte, salvo tenere buona la mamma per i pasti e per l’uso della lavatrice e del ferro da stiro, senza più alcun dovere di gratitudine. Ebbene, dal punto di vista educativo, è tutto sbagliato, e i genitori e gli educatori devono saperlo. La normalità è vera solo in presenza di una norma oggettiva, da riconoscere e rispettare, altrimenti si riduce ad un alibi per coprire la confusione e l’improvvisazione delle scelte. La gratitudine è un valore indispensabile che va insegnato soprattutto in momenti di crisi, così da far balenare davanti agli occhi delle generazioni più giovani che la vita è segnata dalla gioia solo se sa affrontare i sacrifici quotidiani e sa riconoscere il legame profondo che sussiste tra il mio benessere e il lavoro paziente di chi me lo assicura con la sua fatica ed il suo impegno generoso e spesso disinteressato.

Dicevo che le letture di oggi – soprattutto la prima lettura ed il vangelo – propongono un legame strettissimo tra la normalità e la gratitudine. Vediamolo. La vicenda di Naamàn il Siro è significativa: sente parlare – lui che non è ebreo – di un uomo di Dio, Eliseo, che può guarirlo dalla lebbra, va da lui e si aspetta un gesto eclatante di guarigione; invece, il profeta lo invita a bagnarsi sette volte nelle acque del Giordano. Naamàn s’indigna non poco, perché gli è richiesta una cosa normale, banale: bagnarsi nel Giordano, quando a Damasco, la città da cui proviene, ci sono acque migliori! Convinto dai suoi servi, accetta di seguire il consiglio del profeta e guarisce. Naamàn torna da Eliseo, mostrando tutta la sua gratitudine. L’aver accettato che la salvezza passasse da un gesto apparentemente normale, l’aver riconosciuto la norma nella parola del profeta, lo condusse sulla via della guarigione e della gratitudine. Non accadde così a nove su dieci dei lebbrosi guariti da Gesù – anch’essi risanati senza alcun gesto eclatante, addirittura a distanza, come del resto prevedeva la legge – perché uno solo tornò sui suoi passi a ringraziare Gesù, e uno solo, quindi, ebbe la salvezza oltre alla guarigione. Evidentemente gli altri credevano che l’essere stati risanati dalla lebbra – che non avevano meritato e da cui si sentivano ingiustamente colpiti – fosse un atto dovuto, un risarcimento del danno di malattia che aveva reso invivibile la loro esistenza. In fondo, Gesù stesso aveva detto loro di adempiere la legge e di andare a presentarsi ai sacerdoti, che avrebbero sancito la loro guarigione ed il loro reinserimento in società. Questo fecero. Che cosa aveva fatto Gesù, in effetti, per loro? Non li aveva nemmeno toccati. Era rimasto a distanza. Era stato proprio lui a guarirli, oppure si era trattato di un caso fortuito? Solo lo «straniero» Samaritano tornò. Lui che era doppiamente anormale – sia perché Samaritano sia perché lebbroso – seppe ricondurre a Gesù la sua guarigione e tornò a manifestargli gratitudine.

Quante volte anche noi facciamo fatica a tornare qui, di domenica in domenica, a celebrare questo «rendimento di grazie» che è la Messa, perché ci sembra che la normalità faticosa della settimana non abbia alcun Donatore da ringraziare. Invece, da Dio proviene la ricchezza di ogni attimo, anche quello più normale, della nostra vita, e dire grazie ci salva.

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